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(it) Italy, UCADI #199 - L'Iran e noi (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Sun, 7 Sep 2025 07:10:26 +0300


L'aggressione all'Iran, decisa dal nazi-sionista Netanyahu per distogliere l'attenzione dal genocidio dei gazagui e al fine di realizzare il grande Israele, prendendo a pretesto l'obiettivo di impedire agli iraniani di dotarsi dell'arma atomica, ci ha visto condannare senza attenuanti questa aggressione e denunciare le contraddizioni dell'occidente fariseo che utilizza due pesi e due misure nel valutare aggrediti ed aggressori. La contraddizione appare evidente se si guarda alla retorica utilizzata per giustificare il sostegno osceno e masochistico da parte europea ai nazionalisti ucraini giustificando al tempo stesso Israele aggressore.
Ma la nostra posizione di condanna di Israele e di sostegno del diritto dell'Iran alla difesa, contiene un'apparente contraddizione che ci viene rimproverata dai filo occidentali che scaturisce dal nostro sostegno di comunisti anarchici a un regime teocratico che, dal punto di vista politico e sociale, è quanto di più lontano possibile dall'anarchismo comunista. Di questa contraddizione - quella di dover solidarizzare con un regime integralista-teocratico, è ben consapevole l'aggressore nazi-sionista tanto che, non a caso, ha cercato di invocare il mutamento di regime come uno degli obiettivi che nobilitavano la propria azione di guerra, fino a giustificarla, chiamando gli iraniani alla rivolta.
In ripetute occasioni su queste pagine non abbiamo tralasciato di sostenere i movimenti di massa della popolazione iraniana, finalizzati a ribellarsi alla dittatura teocratica khomeinista, in particolare abbiamo sostenuto con convinzione la lotta delle donne iraniane per liberarsi dall'oppressione clericale, le rivendicazioni di libertà che riguardano le relazioni interpersonali e i costumi; abbiamo preso le distanze dal sistema economico classista iraniano, costruito dal clero sciita per controllare ed opprimere la società iraniana, per costruire strumenti di sfruttamento della sua economia, volti a convogliare i profitti derivanti dall'uso politico della religione, finalizzati all'arricchimento personale e collettivo del clero sciita e dei waqf gestiti dal movimento dei pasdaran.[1]
Ma non per questo siamo disponibili a diventare complici del nazi-sionismo che oggi prevale nella classe dirigente dell'entità ebraica, che si fa strumento dell'imperialismo americano e del capitalismo internazionale, di una ben orientata ed individuabile finanza tras-nazionale, che fa capo alla diaspora sionista, interessata a presidiare economicamente l'area mediorientale per trarne i maggiori profitti possibili, alimentandosi del revanscismo e delle paure delle popolazioni ebraiche del mondo, che memori dell'olocausto, hanno costruito il mito del ritorno alla terra promessa,
rivendicando quale territorio esclusivo dell'entità ebraica le terre nelle quali abitano altri popoli.
Analizzando la questione palestinese ed ebraica abbiamo avuto modo di ricostruire le fasi di questo processo e dimostrare come vi fosse anche nel movimento sionista una componente internazionalista che, ripudiando l'esclusività dell'identità etnica e l'opzione nazionalista, ipotizzava la costruzione di un'entità statale in Palestina, inter-religiosa e inter-etnica, nella quale i musulmani ed ebrei potessero pacificamente convivere. Abbiamo dato conto come storicamente questa componente sana dell'ebraismo sia stata sconfitta, con il prevalere delle componenti capitaliste e sioniste della diaspora ebraica.[2]
L'analisi di quali sono gli interessi di classe che muovono oggi le scelte economiche e politiche, ci fornisce gli strumenti per operare delle distinzioni e dei distinguo e ci consente di capire che i mutamenti sociali, la costruzione di società libere nelle quali prevalgono gli interessi genuini delle popolazioni, il loro anelito all'uguaglianza e alla libertà che è insito nella natura umana, non può che venire dalla lotta delle popolazioni stesse, che, acquisita coscienza delle loro aspirazioni e dei loro diritti, liberamente decidono quale ordine sociale darsi, quale organizzazione politica sostenere, quale società costruire, quale istituzioni riconoscere come proprie e legittime, nella concordia e nella aspirazione all'uguaglianza sociale di tutti.
È per questo motivo che un mutamento di regime in Iran non può avvenire e non deve essere ricercato sulla spinta delle armi d'Israele, tanto più che la popolazione persiana è depositaria di una cultura e di una aspirazione all'indipendenza e all'autonomia che hanno radici storiche profondissime che non possono essere ignorate e che esigono il massimo di rispetto per l'autonomia di questo popolo nel decidere quali debbano essere le proprie istituzioni e i rapporti fra le classi sul territorio nel quale abitano.

Gli esiti della guerra dei 12 giorni

Ciò premesso la guerra "breve", oggi interrotta dal cessante il fuoco imposto da Trump e dagli Stati Uniti, merita alcune considerazioni. L'attacco di Israele all'Iran ha dimostrato l'insostenibilità per lo Stato ebraico di una guerra di lunga durata nei confronti di un avversario che ha un territorio immenso che non confina con quello dello Stato ebraico e una popolazione di 90 milioni di abitanti. Questi fattori impediscono allo Stato ebraico di portare gli scarponi sul campo, mentre appare irrealistico che possa farlo attraverso proxy reclutati grazie alla composizione multietnica dell'Iran, nemmeno attraverso la componente azera della popolazione - poiché l'identità nazionale del paese è così solida da superare una frammentazione in nome di una guerra civile condotta per conto di un mandante esterno.
Benché nulla dimostri, in modo inequivocabile, che l'Iran stesse effettivamente dotandosi dell'arma atomica che probabilmente garantirebbe al paese l'invulnerabilità da un'aggressione sistematica come quella israeliana, la risposta militare all'attacco sionista da parte iraniana ha dimostrato che, pur privo dell'arma nucleare, lo sviluppo dell'arma missilistica portato avanti dall'Iran, ha raggiunto livelli tali da costituire comunque un deterrente efficace nei confronti di Israele, perché capace di bucare qualsiasi sistema di protezione antimissile. Non solo, ma a differenza dell'aviazione, utilizzata da Israele, soggetta ad usura meccanica in rapporto all'intensità del suo utilizzo, l'arma missilistica combinata con l'utilizzazione di droni, è oggi in grado di costituire comunque una minaccia che consiglia la trattativa, alla ricerca di una coesistenza pacifica, posto che l'industria missilistica iraniana è in grado di dotare il paese di ben 150 nuovi missili al mese, alimentando a tempo indefinito le sue capacità difensive. Inoltre la scelta selettiva degli obiettivi colpiti dagli iraniani ha dimostrato che direzionando su uno spettro più ampio l'individuazione dei bersagli è possibile per l'Iran fare molto male a Israele.
Ma c'è di più. L'attacco israeliano all'Iran costituisce di fatto un ammonimento a tutti gli Stati dell'area che sono indotti anch'essi a dotarsi dell'ordigno nucleare. Chi è sicuro oggi di poter scommettere sulla rinuncia della Turchia, aspirante potenza neo-imperiale, o della Arabia Saudita o dello stesso Egitto a dotarsi dell'ordigno nucleare per poter sottoscrivere, allo stesso modo di come ha fatto la Corea del Nord, un'assicurazione di sicurezza nei confronti di chiunque?
Quel che è certo è che i 200 e forse più ordigni nucleari posseduti da Israele non bastano più al paese per assicurare la deterrenza e il dominio del terrore su tutti i paesi dell'area, come dimostrano le dichiarazioni del Pakistan che ha offerto copertura e ombrello nucleare agli Stati islamici limitrofi.

Un nuovo assetto del Medio Oriente e la pax USA

Le considerazioni che abbiamo sviluppato suggeriscono che forse è oggi possibile ipotizzare un nuovo assetto del Medio Oriente e questo perché molti degli attori che operano su questo scenario hanno mutato il loro approccio rispetto agli equilibri di potere presenti nell'area: certo ci vorrà del tempo e non sarà facile.
Il ruggente scontro dell'Iran con Israele spingerà gli iraniani ad aderire in modo organico all'alleanza di Shanghai, alla ricerca di una maggiore interazione con le potenze dell'area del Pacifico, nella prospettiva di un reciproco sostegno in funzione anti-egemonica rispetto alla presenza statunitense. Indubbiamente gli iraniani miglioreranno i loro rapporti con il Pakistan e con l'Indonesia, rafforzando la loro presenza all'interno dei Brics e ricevendo da questo ambito tutto il sostegno necessario per superare i limiti imposti al paese dalle sanzioni occidentali, posto che Stati Uniti ed Europa saranno così servili nei confronti di Israele da continuare masochisticamente a mantenere in vigore le sanzioni contro l'Iran. Indubbiamente si rafforzeranno i rapporti del paese con la Cina, soprattutto a livello infrastrutturale, considerando che è entrata ormai in funzione la ferrovia che consente alle merci cinesi di arrivare direttamente nel paese ed è già previsto che il tracciato continuerà a svilupparsi fino a raggiungere i porti del Golfo Persico, accorciando così il percorso delle merci verso il mercato mediorientale e del Golfo Persico.
La sostituzione della presenza iraniana in Siria, da parte della Turchia, porta direttamente Israele a confinare con un nemico ben più pericoloso di quello iraniano, perché incardinato politicamente all'interno della NATO e al tempo stesso desideroso di guadagnare consenso all'interno del mondo islamico quale difensore dell'Islam. Presto Israele dovrà fare i conti con i turchi e rivedere l'espansione della sua presenza sulle alture di Golan e la proiezione della sua forza verso il confine libanese; non gli sarà sufficiente l'accordo con i drusi per guadagnarsi il diritto ad occupare quelle aree di confine sulle quali oggi esercita incontrastato la propria giurisdizione, dovrà stare attento nel puntare sulle popolazioni azere e sui curdi per mantenere in vita la destabilizzazione dell'area.
Molto dipenderà nel futuro equilibrio da quello che sarà lo sbocco della crisi di Gaza, rispetto alla quale al momento non si vedono soluzioni. In ogni caso la tendenza di Israele ad espande alla sua presenza in Cisgiordania non potrà che rendere problematica la ricerca di una soluzione, anche temporanea, della crisi aperta da Netanyahu nel tentativo disperato di salvare se stesso, proiettando nel tempo indefinito il suo potere e imponendosi alla società israeliana come il male necessario.
L'ingestibilità della questione palestinese per la quale non si intravedono soluzioni è il vero tallone d'Achille della politica statunitense nel Medio Oriente e al tempo stesso la ragione della crisi crescente di Israele. Le guerre in corso hanno stressato l'economia israeliana e ridotto notevolmente le sue prospettive di sviluppo che non sono compensate dalle annessioni possibili, derivanti dalla soluzione della crisi di Gaza e dalle espropriazioni di terra in Cisgiordania. Non solo ma il discredito accumulato da Israele nell'opinione pubblica internazionale, il disgusto e la riprovazione per quanto sta facendo a Gaza è tale che sarà difficile ripristinare la sua immagine e consentire la ripresa piena della solidarietà verso il paese, malgrado che goda ancora di una residua credibilità politica verso alcuni dei principali paesi dell'Europa, come la Germania e l'Italia. È tempo che Israele capisca che il rimorso per i delitti commessi contro gli ebrei non può coprire tutto.

[1]Ucadi, I comunisti anarchici, la questione ebraica e quella palestinese, Newsletter Crescita Politica, N° 178, nov. 2023, Num. Speciale.
[2]l'Iran come archetipo di un altro islam, Newsletter Crescita Politica, N°82, febbraio 2016; L'enigma iraniano, Newsletter Crescita Politica, N°187, luglio 2024; La lotta di lunga durata degli iraniani, Newsletter Crescita Politica, N°167, 2023; Iran: risorge l'identità femminile, Newsletter Crescita Politica, N°164, ottobre 2023; Due pesi, due misure, Newsletter Crescita Politica, N°198, giugno 2025.

La Redazione

https://www.ucadi.org/2025/07/27/liran-e-noi/
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