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(it) Italy, Anarres: VOCI DALL’IRAN SOTTO LE BOMBE (ca, de, en, pt, tr) [traduzione automatica]
Date
Sun, 7 Sep 2025 07:10:51 +0300
Vi proponiamo testimonianze e prese di posizione di singoli ed
organizzazioni iraniane dopo l’attacco israeliano del 13 giugno e
l’appello di alcuni gruppi di iraniani che vivono in Italia. ---- La
testimonianza di un anarchico di Teheran ---- Una notte di fuoco e
confusione ---- Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato
l’Iran. Gli attacchi hanno preso di mira Teheran, ma anche altre città.
Ho sentito brontolii, ho visto lampi: ho pensato fosse un temporale.
Niente faceva pensare a una guerra, soprattutto con le discussioni tra
Iran e Stati Uniti. ---- Solo stamattina (14 giugno, NdR), attraverso il
Fronte Anarchico, abbiamo appreso cosa era realmente accaduto:
molteplici attacchi, morti tra i civili.
Sono uscito per indagare. La città era transennata. L’esercito e la
polizia bloccavano l’accesso alle zone colpite. Bombe inesplose
giacevano ancora negli edifici.
In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato
tutte le foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul
posto, almeno sette bambini sono stati uccisi.
Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di
esponenti del regime.
Il giorno dopo: un inferno senza allarmi
Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche.
Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente
fuggiva da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani.
Aspettavamo aiuto sui marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti
ai miei occhi. Nessun allarme. Nessun riparo. Niente.
I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica
Islamica aveva colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho
dei compagni lì: anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di
servire nell’esercito.
Non vogliamo questa guerra.
Una popolazione in modalità sopravvivenza
L’aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente
sta inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città… per
poi tornare, in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate.
I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte
affidabile: Telegram e canali satellitari.
Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri,
davanti agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi.
Abbiamo urlato.
Abbiamo pianto. Abbiamo resistito.
Nessun rifugio, nessuna evacuazione.
Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci
sono istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le
perdite chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto.
Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli
studenti si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici
restano a casa. Solo i servizi di emergenza sono ancora in piedi.
A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora)
colpendo le zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive,
i colpi vaganti continuano comunque a uccidere persone.
E non c’è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna
organizzazione esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già
uccidendo da anni.
Quattro Iran, una terra sotto le bombe
È importante capire che il popolo iraniano è frammentato:
1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra.
Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader.
2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono
vendicarsi.
3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli
attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie.
4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la
Repubblica Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati.
Per la sopravvivenza, l’aiuto reciproco, l’autonomia.
Che posto hanno gli anarchici in questa guerra?
Non siamo armati. Non partecipiamo ai combattimenti. Il nostro compito è
altrove: informare, salvare, creare connessioni, contrastare la
propaganda. Aiutiamo come meglio possiamo: pronto soccorso, canali di
informazione e consapevolezza del rischio chimico. Ci prendiamo cura di
noi stessi e di chi non ha nessuno.
Rifiutiamo la retorica semplicistica. Né “tutti gli israeliani devono
morire”, né “i sionisti sono i nostri salvatori”.
Siamo tra due fuochi: il fondamentalismo religioso da una parte, il
militarismo sionista dall’altra.
Il nostro ruolo è quello di essere ponti. Trasmettitori di idee. Aprire
brecce nel fatalismo. Rimanere saldi, anche disarmati, anche nella paura.
In lutto per il movimento contro la guerra
Devo ammettere: sono triste. Profondamente. Dieci anni fa, ho parlato
con i pacifisti israeliani. Quelli che si sono rifiutati di servire.
Curdi, Arabi, Armeni, Anarchici. Sognavamo insieme un Medio Oriente
libero, senza esercito, senza stato.
Ma abbiamo perso. Non eravamo abbastanza forti da impedire la guerra.
Non avevamo abbastanza sostegno. Oggi la gente ha paura di parlare di
pace. Crede che sarebbe tradimento. Che chiedere la fine degli attacchi
aerei significhi arrendersi al nemico.
Eppure, tutti vogliono la pace. Ma nessuno osa pretenderla.
Una voce nel tumulto
Non so per quanto tempo resisteremo. Proprio ieri sera, gli aerei
rombavano come un’autostrada nel cielo. Ma so una cosa: finché ci
saranno persone di cui prendersi cura, resistere e organizzarsi senza
aspettare lo stato, ci saranno semi di anarchia, anche tra le macerie.
Conclusione: non normalizziamo l’insopportabile.
Prima di tutto, voglio ringraziare sinceramente tutti i compagni che si
sono presi la briga di ascoltarci. In un mondo in cui siamo
costantemente schiacciati da forze politiche, economiche e di polizia, è
raro che ci venga ancora dato lo spazio per parlare. Anche senza bombe,
la violenza ci circonda: assume la forma di affitti impagabili,
scartoffie infinite, discriminazione, stanchezza e isolamento. Una
violenza silenziosa, presentata come “normale”, a cui non dovremmo mai
abituarci.
Ma quando scoppia la guerra, questa violenza si disintegra
improvvisamente in pieno giorno. Ciò che era tollerato diventa
insopportabile. E allora, paradossalmente, possiamo parlare. Ho potuto
scrivervi perché tutto è crollato. Perché, nel caos, le verità più
semplici tornano ad essere udibili.
Quello che voglio dirvi è questo: non lasciate che questo discorso cada
nel silenzio. Non lasciate che il nostro dolore – qui in Iran, come
altrove – venga relegato ai margini, come se fosse semplicemente
“locale”, “specifico”, “culturale” o “eccezionale”.
Perché in verità, condividiamo la stessa guerra: quella combattuta dagli
stati contro le nostre vite. Quindi vi imploro, compagni: non accettate
la violenza della vita quotidiana come un dato di fatto. Rifiutate
l’idea che dobbiamo aspettare che i missili colpiscano prima di reagire.
Non aspettate che la nostra sofferenza diventi spettacolare prima di
meritare la vostra attenzione.
Parliamo ora. Organizziamoci. Creiamo spazi reali di azione e di mutuo
soccorso. Affinché la guerra qui non diventi un rumore di fondo.
Affinché non siate ridotti a semplici “salvatori” di fronte alla nostra
sofferenza, ma piuttosto complici della lotta.
Appello alla solidarietà internazionale
Oggi la situazione è instabile, critica, forse sull’orlo di una
catastrofe umanitaria. Se l’Iran è isolato dal mondo – dalle bombe o
dalla censura della Repubblica Islamica – diffondete la nostra parola.
Raccontate cosa ci sta succedendo. Date voce a chi ne è privato.
Non beneficiamo di alcuna protezione internazionale. Le ONG sono quasi
inesistenti. Le sanzioni aggravano la nostra sofferenza.
Se avete contatti, influenza o connessioni in collettivi, sindacati,
associazioni o reti sanitarie: mobilitateli. Chiedete assistenza medica
urgente, una maggiore vigilanza sulle violazioni e una mediazione
internazionale che trascenda la logica statale.
Ma soprattutto, rifiutate le narrazioni semplicistiche.
Non siamo né pedine di Israele né pedine del regime islamico. Non
crediamo né nelle bombe “liberatorie” né nei mullah “resistenti”. Siamo
intrappolati tra due macchine di morte e continuiamo a cercare, ancora e
ancora, di costruire qualcosa di diverso.
Non c’è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le
conseguenze saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme.
Non per sostenere una parte contro l’altra, ma per far sentire un’altra
voce: quella della vita, della libertà e della solidarietà, contro tutti
gli stati, tutti i confini e tutte le guerre.
****
Dichiarazione del fronte anarchico di Iran e Afghanistan contro la furia
bellica dei governi
Noi, il fronte anarchico di Iran e Afghanistan, riaffermiamo la nostra
posizione incrollabile e di principi:
Ogni guerra – su ogni scala e su ogni scusa – iniziata o sostenuta dagli
Stati, deve essere inequivocabilmente condannata.
I Paesi, indipendentemente dalla loro forma o aspetto, usano la guerra
come strumento di sopravvivenza e controllo. E in questo processo
vengono calpestati sotto i loro piedi la vita, la dignità e il futuro
della gente comune.
In un momento in cui il mondo è ancora una volta afflitto da violenza,
bombe, morte, sfollamento e insicurezza, insistiamo su questa verità
continua: le vere vittime della guerra sono sempre le persone, non i
paesi, non le ideologie, non i confini.
La nostra lotta, come sempre, non è per la ridistribuzione del potere
tra le élite, ma contro la stessa istituzione dello Stato e ogni forma
di controllo organizzato.
Siamo solidali – con attenzione e decisione – a fianco del popolo
iraniano, dell’Afghanistan e della regione più ampia.
Quello a cui assistiamo oggi sono, da un lato, i crimini palesi del
regime israeliano, che colpiscono i civili di Gaza e altrove con
crudeltà selvaggia. D’altra parte, vediamo la Repubblica Islamica
dell’Iran manipolare la paura pubblica, giocare partite geopolitiche a
costo della vita degli iraniani per imporre il peso della guerra alla
società.
Noi vediamo la Repubblica Islamica non solo come lo scoppio di una
guerra regionale, ma come parte di una catena globale di controllo e
oppressione – un regime che da decenni attacca il popolo iraniano con
censura, povertà, prigionia, tortura ed esecuzione, mettendo in pericolo
milioni di persone attraverso provocazioni militari.
Mentre condanniamo le atrocità del regime sionista nei termini più duri,
affermiamo anche che la lotta contro la Repubblica Islamica fa parte
della nostra lotta più ampia contro tutti gli Stati e le strutture di
controllo – una lotta che continuerà.
Combattiamo per un mondo senza confini, senza paesi, senza eserciti o
autorità – un mondo in cui umanità, vita e libertà sono al centro. La
nostra guerra principale è sempre stata la guerra contro l’autorità
politica, il totalitarismo e lo stato stesso.
Fronte anarchico Iran e Afganistan
13 giugno 2025
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Qui potete ascoltare l’intervista di radio Blackout a Behrooz di
“Together with Iran”:
https://radioblackout.org/2025/06/voci-dalliran-sotto-le-bombe/
In allegato il comunicato/appello di alcuni gruppi di iraniani che
vivono in Italia.
https://www.anarresinfo.org/voci-dalliran-sotto-le-bombe/
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