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(it) Italy, FAI, Umanita Nova #19-25 - Avventurismo referendario. Solo la lotta decide (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Thu, 7 Aug 2025 09:07:21 +0300
Il destino degli ultimi cinque quesiti referendari era già scritto
all'indomani della sentenza della Corte Costituzionale - nel gennaio
2025 - che aveva ritenuto inammissibile la richiesta di referendum volto
all'abolizione della cosiddetta autonomia differenziata imposta dal
governo Meloni al paese, lasciando gli altri alla deriva. Quella deriva
che si è concretizzata con il risultato, dal significato inequivocabile,
di lunedì 9. ---- La polemica politica non ha tardato a svilupparsi,
come è ovvio che sia. Da parte della destra e del suo governo era più
che scontata anche nei suoi toni più sguaiati - anche se forse
dovrebbero prendere in considerazione il fatto che i 12 milioni e passa
di Sì equivalgono di fatto ai 12,5 milioni che nelle passate elezioni
hanno portato Meloni a palazzo Chigi.
Era scontata anche da parte di quelli che si definiscono 'riformisti'
alla Gori e Picierno o 'liberal-liberisti' alla Renzi e Calenda, subito
pronti a scatenarsi contro l'attuale direzione del Partito Democratico,
colpevole, a loro dire, di troppa freddezza sul 'riarmo', sul sostegno
alle guerre in corso sia da parte ucraina che israeliana e soprattutto
di subalternità alle politiche di Landini e di Conte. Colpevole,
soprattutto, di continuare a sviluppare, con il cosiddetto 'campo
largo', un progetto di coalizione con il Movimento 5 Stelle e l'Alleanza
Verdi Sinistra, senza averne il completo controllo per costringerlo a
scelte più 'responsabili' e più in linea con i centristi europei. Non a
caso destra e riformisti si sono subito sgolati proclamando la morte del
'campo largo' e chiedendo a gran voce le dimissioni di Landini dalla
guida della CGIL.
Ovviamente né l'una né l'altra possibilità si daranno sia perché non ci
sono alternative a Landini a un anno del rinnovo della carica e sia
perché i numeri, abilmente manovrati, dei Sì fanno gioco a Schlein nei
confronti della minoranza interna. Le dichiarazioni di entrambi, come
quelle di Conte, Bonelli e Fratoianni, vanno in tutt'altra direzione,
forti anche dei buoni risultati alle elezioni amministrative, a Genova e
Taranto soprattutto: quella del rafforzamento del 'campo largo', con la
promessa di un maggior impegno in difesa di lavoratori e lavoratrici.
Certo è che se dobbiamo dare retta ad uno degli slogan 'forti' della
campagna della CGIL - "Il voto è la tua lotta" - questo è un impegno da
i cui risultati bisognerà guardarsi ben benino.
Basta rivolgersi all'indietro, e neanche di molto, per accorgersi di
quanto questa sinistra di parlamento e questo sindacato di Stato hanno
fatto per lavoratori e lavoratrici. Dal pacchetto Treu del 1997 (governo
Prodi di centro sinistra) che aprì la strada alla precarizzazione del
lavoro al Jobs Act e all'abolizione dell'articolo 18 sui licenziamenti
(governo Renzi di centro sinistra), per ricordare solo i principali, il
Partito Democratico è stato alla testa di un processo neo liberista di
privatizzazioni e di tagli che ha consolidato privilegi e posizioni di
forza di un ceto politico e burocratico, abbandonando territori e il
mondo del lavoro alla destra.
Con i quesiti referendari sia la CGIL che l'attuale direzione del PD
hanno voluto dare un segnale di inversione di tendenza rispetto alle
scelte precedenti, sul terreno che è loro più consono, quello della
scheda elettorale piuttosto che della lotta sociale, stante anche la
oggettiva debolezza conflittuale del loro corpo centrale di riferimento:
appellarsi alla base per forzare una situazione di stallo, questo lo
scopo. La raccolta firme, i banchetti, i comizi, tutto è servito per
risollevare la propria base dallo stato di passività nel quale le 'loro'
scelte l'hanno confinata.
Non è bastato; al di là delle frasi di consolazione di Schlein e dei
suoi, la sconfitta politica è stata secca: in nessuna grande città, in
nessuna regione, il quorum ha raggiunto il 50% degli aventi diritto. E
la percentuale raggiunta (30,6%) sarebbe stata ancora più risicata se
non avessero partecipato al voto i molti e le molte che si astengono,
per scelta, alle elezioni politiche e che questa volta hanno deciso di
soprassedere in previsione di una sonora sconfitta che avrebbe avuto
risultati ancora più devastanti sulla classe lavoratrice e sui numerosi
immigrati e immigrate residenti nel nostro paese. A questo proposito il
65% di Sì raccolti dal quesito sulla cittadinanza merita una
sottolineatura dovuta al fatto che molto del clima di diffidenza che
esiste nel paese sul tema dell'immigrazione è dovuta non solo alla
destra con Salvini in pole position, ma anche alle politiche del PD e
del M5S. Non dimentichiamo il governo giallo-verde, così come non
dimentichiamo il pacchetto Minniti-Orlando e tutto quello che ne è seguito.
Una volta di più si dimostra che l'istituto referendario per come è
stato istituito, se ha dato dei risultati significativi, ancorché
discutibili, sui temi dei diritti civili (divorzio, depenalizzazione
dell'interruzione volontaria di gravidanza) in tempi di grandi
mobilitazioni di piazza e di aspro conflitto sociale, negli ultimi anni
ha evidenziato tutti i suoi limiti, insiti nella sua progettazione
originaria. Tanto più sui temi del lavoro, affidare ad un parere
collettivo, per sua natura interclassista, la decisione su questioni che
tra l'altro sono, per chi non le vive, di difficile comprensione da un
punto di vista tecnico, vuol dire consegnarsi alla sconfitta. Così è
stato nel 1985 per il referendum abrogativo della legge sulla scala
mobile dove si raggiunse il quorum ma si perse rovinosamente e nel 2003
per quello contro l'abolizione dell'articolo 18 con un'affluenza che si
fermò al 25,5%.
Da sottolineare che è dal 1995 che nessun referendum popolare ha
raggiunto il quorum tranne quello del 2011 sul nucleare e sul
mantenimento pubblico dell'acqua contro la privatizzazione che vinse per
essere poi vanificato dalle manovre di palazzo. La stessa cosa sta
accadendo per la ripresa del nucleare in Italia, alla faccia dei
referendum del 2011 e soprattutto del 1987 svolto e vinto dopo il
disastro della centrale di Chernobyl, sull'onda di grandi manifestazioni
popolari e di occupazioni delle centrali allora attive nel paese.
Nulla di nuovo sotto il sole. Non siamo mai stati promotori di alcun
referendum e anzi abbiamo sempre messo in guardia sull'uso di un mezzo
che una volta di più ha la funzione di distogliere la popolazione da
quelli che sono i veri strumenti di espressione della volontà
collettiva: l'autogestione e l'azione non delegata. Sostituire il
conflitto con la scheda non solo è una dimostrazione di debolezza sul
piano della lotta ma è soprattutto un regalo al governo in carica e al
padronato.
Si tratta ora di impedire che il senso di vittoria che attraversa le
truppe governative non si trasformi in un attacco ancora più forsennato
alle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne e del popolo
immigrato. Tocca anche a noi, agli avventuristi - come ci hanno spesso e
volentieri definiti - rimediare ai danni che gli avventuristi del
referendum hanno provocato. Rimbocchiamoci le maniche.
Massimo Varengo
https://umanitanova.org/avventurismo-referendario-solo-la-lotta-decide/
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