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(it) Italy, UCADI #199 - Il sacco delle città: Milano come tante (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Wed, 10 Sep 2025 08:49:48 +0300


Mentre l'ennesimo scandalo milanese scuote il paese, a preoccupare non dovrebbe essere tanto la questione giudiziaria quanto piuttosto l'idea di città che questo modus operandi sottende. La gestione del territorio, insieme alla progettazione di un nuovo e moderno modello urbano, ha costituito uno dei fiori all'occhiello dell'elaborazione culturale, volta a definire le strategie di trasformazione e di governo della città, delle forze politiche della cosiddetta sinistra storica caratterizzandone le sue politiche sociali. Ciò che è stato realizzato, ed ancora si sta realizzando, rappresenta il tradimento da parte della sinistra di quei modelli di riferimento che i padri dell'urbanistica moderna (Atengo, Samonà, Detti, ecc.) dal dopoguerra fino agli anni ottanta hanno elaborato. L'ideologia della deregulation unita al fascino dell'interesse della economia di mercato ha prodotto quella idea di città che la "sinistra" ha oggi fatto propria e condivide, costituendo una delle ragioni che allontanano il consenso da quello che dovrebbe essere il suo elettorato di riferimento, espressione dei suoi interessi in quanto e nella misura in cui svuota dalla popolazione autoctona la città, espellendola verso nuove aree.
Quando l'urbanistica era espressione di una rigorosa disciplina ideologica, si occupava di studiare lo sviluppo della città in un'ottica di classe, usava farsi carico che fossero garantiti gli obiettivi sociali dello sviluppo urbano, assicurato il mantenimento e lo sviluppo del verde pubblico, che non si svuotassero i centri storici per effetto della speculazione edilizia e che fosse garantito uno sviluppo equilibrato che mantenesse la presenza delle diverse figure sociali degli abitanti, in modo da fare del tessuto cittadino un corpus vivo, capace di esprimere appartenenza e identità, mantenendo le specificità dei centri storici.
Viceversa, per ragioni non solo meramente speculative, si è affermata un'idea di città "efficientizzata", che si caratterizza per l'espulsione dai centri storici e dalle zone fortemente identitarie della popolazione più debole, che viene respinta sempre più verso le nuove aree esterne, trasformando il centro della città in un ambiente dedito prevalentemente alla speculazione e all'attività turistica, costellato di B&B, deprivato di attività produttive, dei cosiddetti negozi di vicinato, della bottega del piccolo artigiano, al fruttivendolo, al piccolo supermercato, al fornaio, e soprattutto sopprimendo i luoghi di aggregazione, costituiti dalle librerie, dai caffè storici, dai luoghi di ritrovo a carattere culturale, privilegiando il fiorire di ristoranti e paninoteche, trasformando il centro città in un gigantesco fast food, aperto 24 ore su 24 per soddisfare le rapaci esigenze del turista, facendo delle piazze dei bivacchi a cielo aperto, frequentate in prevalenza da emarginati sociali.
Questa città è diventata la base elettorale dei partiti di sinistra che sono diventati quelli della ZTL.
Milano è oggi, e non a caso una, delle tre città in Europa, insieme a Monaco e Amsterdam ad avere uno dei maggiori indici di sviluppo urbanistico, nel quale l'espulsione degli abitanti verso la periferia è più massiccia ed evidente.
Inutile dire che è finito il tempo dei vecchi palazzinari che facevano della speculazione edilizia, della costruzione di case per il ceto medio l'oggetto del loro business, perché a dirigere la trasformazione e a gestire l'affare sono grandi gruppi economico finanziari che, nascosti dietro l'anonimato, investono in gigantesche speculazioni i loro capitali,
investono per ricavare uffici di rappresentanza e loculi abitativi senza la possibilità di discutere nelle sedi pubbliche delle scelte urbanistiche e degli effetti che queste hanno prodotto sul piano sociale e sull'assetto strutturale della città. A Milano la sostituzione del piano attuativo con la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) non è un tecnicismo, ma è la sostanziale rinuncia alla progettazione urbanistica, è la perdita del potere di controllo da parte del Comune e del Consiglio Comunale su infrastrutture, verde pubblico, servizi, mobilità, per favorire la costruzione di palazzi più alti e più voluminosi, con meno vincoli paesaggistici e ambientali, e cioè più profitto per i costruttori, meno qualità per i cittadini.
E dovrebbe far riflettere molto la sciagurata legge denominata Salva Milano, purtroppo approvata alla Camera anche dal PD, ora ferma al Senato, dove si spera rimanga seppellita. Si tratta di una norma di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia, che sarebbe stata applicabile in tutto il territorio nazionale, addirittura anche retroattivamente. In essa si prevedeva l'estensione della definizione di "ristrutturazione edilizia", considerando "ristrutturazione" anche le demolizioni e ricostruzioni con sagome, volumi e altezze completamente diversi dagli edifici preesistenti, purché in ambiti "edificati e urbanizzati".
In questa ottica competitiva il fattore tempo gioca un ruolo essenziale, tanto da condizionare e stimolare il successo dell'investimento, e perciò occorre agire con immediatezza, efficienza ed efficacia, senza frapporre ostacoli alle pastoie burocratiche che possono essere frapposte all'attività immobiliare, bypassando i tempi lunghi per autorizzazioni e permessi, per ottenere le autorizzazioni edilizie necessarie. Ecco spiegato il sistema nemmeno tanto raffinato, delle consulenze, che è solo uno degli espedienti possibili per remunerare l'aggiramento dei tempi derivanti dalle attività
autorizzative. Se a ciò si aggiunge la massimizzazione nell'utilizzazione delle aree e degli spazi disponibili, moltiplicando i volumi si coglie la portata e le caratteristiche della speculazione in atto.
Se i giudici e il diritto sono interessati a questo aspetto dell'attività edilizia, che potrebbe avere delle implicazioni criminali o essere semplice espressione di un clima di scambio di favori e di influenze tra amministratori e costruttori, a noi non interessa. Dal punto di vista politico, interessa invece la ricaduta che una tale politica edilizia ha sull'assetto della città, sui suoi abitanti e sul ruolo sociale delle popolazioni, sulla qualità del vivere, perché proprio l'estraneità dei cittadini alla città costituisce il sottoprodotto di tale modus operandi ed è la causa del profondo disagio delle popolazioni e del distacco sempre maggiore tra gestori politici della città e i cittadini elettori. La realizzazione nel centro abitato di complessi residenziali integrati, uffici di rappresentanza e micro residenze hanno dato vita di fatto a dei fortilizi securitari che garantiscono i residenti.
A questi aspetti del problema dedicheremo nei prossimi numeri una serie di articoli. Nel frattempo ci limitiamo a sviluppare alcune considerazioni.
Il centro storico della città, sovente ridotto ad apparato museale, costituisce la vetrina nella quale la città si specchia. Nelle sue vie si si organizza la movida e quell'insieme di attività sociali effimere che fanno dalla città la vetrina del progresso e del saper vivere. La scelta di molte città di esternalizzare verso la periferia le strutture culturali e soprattutto quelle universitarie ha portato con sé la delocalizzazione del tessuto sociale, costituito dalla popolazione studentesca che, coinvolgendo i giovani avrebbe dovuto contribuire a vitalizzare le attività culturali e partecipative.
A questa delocalizzazione non ha corrisposto la realizzazione di studentati e l'aumento dell'offerta di soluzioni abitative per la popolazione studentesca che si insediava sul territorio, Anzi l'aumento della richiesta di abitazioni, ancorchè fatiscenti, ha fatto aumentare la competitività tra la popolazione esternalizzata, proveniente dal centro città e la richiesta di alloggi proveniente dall'utenza aggiuntiva, quella studentesca, producendo un aumento spropositato del prezzo degli immobili, sia in proprietà che in affitto. L'assenza di una politica abitativa a carattere sociale (cosiddetto social housing) e una assoluta noncuranza per la gestione del patrimonio abitativo pubblico, hanno fatto il resto, creando una situazione invivibile nelle periferie delle grandi città e, tra queste, Milano. Una gestione politica non asservita alle logiche del "mercato" ma avveduta ed attenta ad un uso corretto del territorio avrebbe dovuto capirlo ed, a fronte di movimenti come quelli studenteschi, che facevano del loro attendamento nelle pubbliche piazze e nei giardini pubblici un'occasione di denuncia pacifica e civile delle condizioni di disagio vissute dai giovani utenti dei servizi universitari, avrebbe dovuto agire per tempo in modo politicamente responsabile per un governo della città, realizzando interventi mirati che invece sono stati del tutto assenti o comunque segnati da forti ritardi.
Questo quando non c'è di più e di diverso perché spesso i pensionati universitari realizzati sono riservati a studenti facoltosi e di fatto ad una parte privilegiata di essi che costituiscono la fascia ricca e facoltosa degli utenti dei servizi universitari, che approfittano della qualità della formazione universitaria offerta dalla città per usufruirne, posto che in Italia l'istruzione universitaria è ancora pressoché gratuita.
Alla carenza di interventi abitativi si aggiunga il disagio derivante da una rete di servizi lacunose e insufficiente che rende proibitivi i tempi e i costi di trasporto per i lavoratori esternalizzati dal centro della città e che di fatto trasforma i quartieri periferici in dormitori privi di servizi e di attività ricreative, alimentando la terziarizzazione del centro città come luogo da aggredire per la movida e da abbandonare, dopo scorribande ed incursioni da parte di una popolazione di fatto estranea al tessuto cittadino.

Cresce il degrado

Questo riassetto, questa delocalizzazione funzionale della popolazione comporta una ristrutturazione urbanistica e del territorio che si caratterizza per la riduzione degli spazi pubblici e collettivi, per la trasformazione del verde pubblico in mero arredo urbano, spesso realizzato con materiali sintetici ed escludendo la presenza della natura (istallazione di falsi prati sul selciato, fioriere ed alberi piantati nella torba, a formare del pseudo verde, dei pseudo giardini).
Non ci si deve stupire se in un ambiente così disumanizzato i cittadini vivono una situazione di profondo disagio, di estraneità, subiscono la città che peraltro diviene invivibile, invasa dalle polveri dei tanti lavori, sconvolta per la viabilità dissestata, frutto di scelte ondivaghe e di ripensamenti relativi sull'organizzazione del traffico cittadino, e tutto questo mentre l'insieme degli interventi si riflette nell'aumento dei costi per vivere e abitare.
Mentre tutto questo avviene prevale un senso di profonda estraneità, frustrazione e rassegnazione perché ci si rende conto di non avere strumenti per intervenire e per condizionare, anche se in misura minima la gestione del territorio perché esso assuma una dimensione più umana e vivibile. Ogni discontinuità tra le attività di Amministrazioni che si avvicendano nella gestione del territorio scompare e a prevalere è una continuità che è lo specchio della persistenza degli interessi economici e speculativi che presiedono alla gestione del territorio.

Tonino Coscarella

https://www.ucadi.org/2025/07/27/il-sacco-delle-citta-milano-come-tante/
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