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(it) Italy, Sicilie Libertaria #454 - Il capitalismo salverà il capitalismo. (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Tue, 14 Jan 2025 08:17:10 +0200


E' in fondo un vecchio adagio che purtroppo sembra funzionare. Quando emergono i disastri della finanziarizzazione dell'economia, allora si sostiene che la salvezza sta nel ridare vigore all'economia reale; quando si riflette sul degrado sociale e ambientale provocato dal produttivismo, allora si invoca un capitalismo immateriale e ipertecnologico e si inventano fantomatiche transizioni: ecologica, digitale. Purché il capitalismo dalle mille vite mantenga la sua egemonia. Del resto ci hanno inculcato e abbiamo introiettato l'idea che il nostro unico orizzonte possibile è il sistema capitalistico di mercato, nonostante lo si ritenga il principale responsabile della crisi climatica in atto e dei suoi sviluppi deleteri. Così paiono dominare due assunti, contrapposti ma convergenti, due veri e propri feticci ideologici che restituiscono l'immagine di un capitalismo resiliente che, come araba fenice, rinasce continuamente dalle sue ceneri. Su un versante pessimistico si colloca l'idea, della quale Tomasi di Lampedusa nel suo celebre romanzo ha dato una rappresentazione potente, per cui bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi. Questo vale per il potere in sé come per il capitalismo. Su un coté ottimistico prevale l'immagine smithiana della mano invisibile per cui "Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse". A prescindere da quello che volesse dire effettivamente Adam Smith, il fondatore indiscusso dell'economia politica, il convincimento che ciascuno comportandosi egoisticamente finisce per fare l'interesse dell'intera collettività e assicurare il benessere della maggioranza possiede una forza e una capacità rassicuratrice notevoli.

Una recente rappresentazione di questo ottimismo fideistico l'ho ritrovata in un articolo pubblicato dal quotidiano Il Manifesto il 10 novembre scorso e firmato da Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. La tesi di fondo sostenuta nell'articolo, il cui titolo è esemplificativo "Frenate pericolose. Ma il green è l'unico mercato", è che lo sviluppo capitalistico va nella direzione di un rinnovamento che punta sulle nuove tecnologie e produzioni verdi, sostenibili e compatibili con l'ambiente. Pertanto né un Trump né una Meloni qualsiasi possono arrestare questo processo, sebbene, dice Ciafani, lo stiano rallentando proprio quando sarebbe necessario accelerarne il percorso. Ma infine questo processo virtuoso e conveniente, è la conclusione fiduciosa, trionferà. Alcuni passaggi dell'articolo sono veramente illuminanti di questo modo di ragionare: "Fortunatamente l'economia mondiale sulla filiera energetica sta andando quasi totalmente verso le rinnovabili, l'efficienza e l'innovazione. Non lo diciamo noi ambientalisti, ma l'Agenzia internazionale sull'energia.[...]Quello che può realisticamente succedere è che il dietrofront degli Usa nelle politiche climatiche potrà far perdere agli Usa la leadership sulla transizione rispetto alla Cina.[...]La nuova commissione von der Leyen deve allora lasciar perdere le sciocchezze dei sovranisti e dei conservatori, con le quali ha flirtato nell'ultimo anno e mezzo, e investire su un nuovo Clean industrial act[...]Quanto all'Italia, sta già tirando il freno sulle tecnologie pulite.[...]Allungare i tempi è il modo migliore per farci distanziare ulteriormente dalla Cina. Dove già adesso la metà delle auto vendute è elettrica". Un discorso, come si vede, tutto infarcito di economicismo, di quei refrain che costituiscono il verbo del capitalismo autoriformante: efficienza, innovazione, sostenibilità. Che si inquadra necessariamente in un contesto di mercato concorrenziale, competitivo, produttore di profitti. Pertanto l'Italia se non vuole "perdere quote nel mercato mondiale" deve assecondarne la naturale evoluzione che sarebbe quella green.

La chiusa dell'articolo è poi tutta tesa a dimostrare che a sinistra o meglio i progressisti sono più consapevoli degli stessi capitalisti dell'evoluzione del capitalismo. Infatti a proposito del nucleare si afferma: "Il nucleare è morto e non lo abbiamo neanche ammazzato noi ambientalisti, nel mondo, ma il mercato di cui tanto si riempiono la bocca in molti, a partire da Confindustria".

Comunque non sorprende affatto che Ciafani, e con lui tutto l'ambientalismo di maniera, esprime queste posizioni. Per lui, per loro, veramente il capitalismo è il migliore dei mondi possibili; certo da mitigare, da riformare, da migliorare, ma dal quale non si può prescindere. Se poi questo capitalismo, come sta già accadendo, adotta la sua logica estrattivista e predatrice anche nella produzione green, anche per le nuove energie rinnovabili, anche per i nuovi mezzi di trasporto compatibili con l'ambiente, questo non costituisce un problema. Come il nuovo/antico colonialismo, che multinazionali e potenze continuano a imporre a gran parte dell'Africa e a buona parte di Asia e America del sud per procacciarsi i materiali necessari per le produzioni verdi, e il pesante impatto sui territori, per riuscire a produrre la notevole quantità di energia indispensabile per un sistema energivoro come quello industriale, finiscono per diventare il prezzo da pagare per un fine superiore. Che si spera sia almeno, nella mente dei fautori dell'ambientalismo filocapitalistico, quello della salvezza del pianeta e delle società umane dall'estinzione. Se poi dovesse trattarsi solo di competitività e di farsi strada nel mercato globale ...

Almeno nell'assurdità del marxismo classico si pensava che solo la completa affermazione del capitalismo avrebbe messo in atto tutte quelle contraddizioni che poi avrebbero permesso il suo superamento e la realizzazione della società socialista, dell'abolizione dello sfruttamento e dell'eguaglianza di tutti. Oggi, invece, il capitalismo può tranquillamente rinnovarsi, può riprodurre tutte le sue contraddizioni senza che siamo in grado neppure di immaginare un suo superamento.

Angelo Barberi

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