A - I n f o s

a multi-lingual news service by, for, and about anarchists **
News in all languages
Last 40 posts (Homepage) Last two weeks' posts Our archives of old posts

The last 100 posts, according to language
Greek_ 中文 Chinese_ Castellano_ Catalan_ Deutsch_ Nederlands_ English_ Français_ Italiano_ Polski_ Português_ Russkyi_ Suomi_ Svenska_ Türkçe_ _The.Supplement

The First Few Lines of The Last 10 posts in:
Castellano_ Deutsch_ Nederlands_ English_ Français_ Italiano_ Polski_ Português_ Russkyi_ Suomi_ Svenska_ Türkçe_
First few lines of all posts of last 24 hours | of past 30 days | of 2002 | of 2003 | of 2004 | of 2005 | of 2006 | of 2007 | of 2008 | of 2009 | of 2010 | of 2011 | of 2012 | of 2013 | of 2014 | of 2015 | of 2016 | of 2017 | of 2018 | of 2019 | of 2020 | of 2021 | of 2022 | of 2023 | of 2024

Syndication Of A-Infos - including RDF - How to Syndicate A-Infos
Subscribe to the a-infos newsgroups

(it) Italy, Federazione Anarchica Torinese: Tramandare il fuoco: Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo IV. (4/4) (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Thu, 3 Oct 2024 09:22:16 +0300


Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro dell'essenzialismo 18 --- Primissimi passi di indagine fenomenologica ---- Riteniamo particolarmente utile ai fini della trattazione rilevare il predominio di alcune parole d'ordine rossobrune e comunitariste nel dibattito politico contemporaneo. Leitmotiv come il superamento dell'annosa distinzione tra la categoria di destra e la categoria di sinistra, oppure il ritorno di fiamma dello spirito di popolo in sostituzione alla lotta di classe, con annessa legittimazione e rafforzamento del potere statale che di tale "spirito" dovrebbe farsi portatore, li ritroviamo sovente nell'agone politico democratico, nell'opinione pubblica e nei principali organi di informazione.

Segue la percezione di un'identità minacciata dalle politiche neoliberiste, dall'omologazione della società di massa, dal dominio globale della merce che svuota la forma del suo contenuto e tenta di penetrare le coscienze per plasmarle. L'evidente senso di smarrimento, unitamente al progressivo impoverimento del ceto medio che sente vacillare i propri diritti, ha finito per innescare un po' ovunque un potente rigurgito sovranista, concretizzatosi nel ripiegamento su un modello di comunità chiusa che si costituisce nella negazione, nell'esclusione dell'altr*, dando seguito al disperato tentativo di rimettere ordine al caos sistemico caratterizzato dall'avanzata del moloch del capitalismo globalizzato. La ricetta dell'identità forte cavalca la paura montante di chi si sente derubato del proprio domani, fornendogli l'illusione di una facile via di fuga salvifica. Infine, troviamo il cambio di paradigma che segna il passaggio dall'ormai obsoleto razzismo "scientifico" (tendenza ad affibbiare criteri di superiorità o inferiorità al patrimonio genetico di un determinato gruppo umano in contrapposizione a un altro) al più moderno razzismo differenzialista, da cui deriva un convinto contrasto all'immigrazione su basi di salvaguardia dell'indipendenza, dell'autenticità, dell'integrità culturale, agitando lo spauracchio della mescolanza, che rischierebbe di contaminare una presunta "purezza della tradizione".

L'innegabile successo dei concetti chiave appena messi in luce - a poco a poco innestati e radicati in tradizioni anche distanti tra loro, con significativi slittamenti concettuali e sociali riscontrabili nella produzione di idee dal basso - è sia inquadrabile come fenomeno reattivo al capitalismo trionfante, alla precarietà strutturale e all'incertezza del futuro, sia incoraggiato da un'ambiguità di fondo che contraddistingue in modo determinante e inequivocabile questo impianto teorico, che ben si sposa con il clima generale della postmodernità: un eterno presente anomico, caratterizzato da una produzione di senso usa e getta.

La colonizzazione dell'immaginario, parzialmente raggiunta da un modo di pensare fondamentalmente reazionario che finisce per negare con forza il diritto al dissenso interno, ha radici molto lontane nel tempo, dal Nazionalbolscevismo nato nel contesto della Repubblica di Weimar in Germania, alla destra extraparlamentare ispirata alla Nouvelle Droite di Alain De Benoist in Francia, fino al revisionismo del marxismo in chiave campista e anti-atlantista, operata da Costanzo Preve in Italia.

Uno degli effetti perniciosi è l'identificazione del nemico esclusivamente nello "straniero", soggetto immediatamente ascrivibile a un blocco nazionale inalterabile, considerato territorialmente, culturalmente e mentalmente omogeneo.

Spesso il nemico lo abbiamo in casa, parla la nostra lingua, ha gli stessi usi e costumi. Come affermava Brecht, il nemico - il padrone che sfrutta o il governo che ci manda in guerra - marcia sempre alla nostra testa.

È quindi più che mai importante dare battaglia culturale per porre un freno a una tendenza che ha subito una netta accelerazione negli ultimi anni e che a lungo andare non può che causare ulteriori danni all'elaborazione di analisi e strumenti di lotta in seno ai movimenti sociali.

La Cultura elevata a Essenza
Focalizziamo la nostra attenzione sulla piaga del differenzialismo culturale, figlio di un processo di essenzializzazione e mitizzazione della cultura. La cultura viene concepita come una natura assolutizzata, come una categoria a-storica, ben definita e immutabile, e in quanto tale esente da valutazioni e critiche.

Quest'ultima assume ben presto le sembianze di un'entità monolitica non meticciabile, non contaminabile, sclerotizzata nel tempo e nello spazio, e infine perfettamente sovrapponibile a una concezione interclassista di popolo, che smette così di conservare al suo interno qualsivoglia differenza di classe, discriminazione sociale o di genere. Seguendo questo filone logico, ne consegue che ad acquistare dignità ontologica è esclusivamente la "cultura" di un determinato "popolo", pensata e percepita come un'imponente costruzione omogenea che persegue l'unanimismo, ovvero mira ad assimilare ed estinguere in se stessa tutte le sue parti, anche le più conflittuali e antitetiche del corpo sociale, fagocitate, private della propria specificità e del proprio potenziale di rottura.

La mancanza di una scappatoia semantica rispetto a un'operazione autoritaria di sussunzione conduce a cortocircuiti e pone difficoltà di problematizzazione. Esempi concreti di questa concezione deformante possono essere individuati nella maldestra giustificazione delle mutilazioni genitali femminili effettuate in età infantile in paesi come la Somalia, piuttosto che la Repubblica di Guinea o l'Arabia Saudita, o ancora dell'obbligo di indossare l'hijab nella teocrazia a guida ayatollah.

Il muro di incomunicabilità eretto da taluni esponenti della sinistra radicale che infantilizza gli individui giudicandoli totalmente in balia dell'ambiente culturale e sociale nel quale sono inseriti, vede come drammatica conseguenza l'invisibilizzazione dei percorsi di lotta ed emancipazione che si sviluppano in quegli stessi territori. È il caso delle donne guineane e somale che si oppongono quotidia­na­men­te all'orrore delle mutilazioni, risultato di un'impostazione misogina e patriarcale della società, oppure delle donne che in Iran rivendicano a loro rischio e pericolo il diritto di non nascondere il proprio corpo, ribellandosi alle imposizioni di un fondamentalismo religioso per sua stessa natura nemico della libertà.

Esprimere solidarietà concreta con chi non accetta l'ordine costituito e le sue leggi decidendo di prendere in mano il proprio futuro, qualunque sia il contesto di riferimento, è il primo passo per l'edificazione di un mondo di libere ed eguali.

Quale universale?
L'universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante nei confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente cittadini (poveri, migranti, donne, soggettività non conformi alla norma etero-cispatriarcale, ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente acritico nei confronti di usanze e pratiche potenzialmente deleterie o oppressive, sono due facce della stessa medaglia. Entrambi i sistemi si collocano in posizione equidistante rispetto a un'idea di universale plurale in via di costruzione, che non può che scaturire dai percorsi di lotta intrapresi dai movimenti, attraversati innanzitutto da coloro che si soggettivano a partire dalla presa di consapevolezza della propria condizione.

Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un mondo nel quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare al massimo la diversità nell'uguaglianza. Occorre gettare le zavorre culturali per esperire una pluralità di approcci libertari che favorisca l'approdo all'individuo, anziché consolidarlo come punto di partenza inscatolato in ruoli imposti dalle logiche del dominio.

L'altro da noi è differente, ma non per questo più o meno degno, più o meno valido.

L'altro è in realtà lo spazio dell'incontro, del confronto paritario, dello scambio arricchente, della contaminazione, della critica, della crescita collettiva attraverso la ricerca di punti di contatto e comunanza di intenti.

Un'occasione di intessere alleanze arrivando a conclusioni simili, battendo sentieri non identici ma nemmeno incompatibili. Terreno fertile per praticare dal basso relazioni sociali egualitarie ed inclusive. La dimensione del particolare è in quest'ottica un valore aggiunto in potenza, mai un ostacolo a priori. Ciò che ci unisce, lo affermiamo con convinzione, è più forte di ciò che ci divide.

Uno sguardo critico entro le mura di casa
I movimenti del nuovo millennio hanno fatto propri alcuni strumenti della decolonialità per ampliare lo sguardo.

L'idea di smontare una visione del mondo pregiudiziale e appiattente, derivata dalla standardizzazione di chiavi interpretative prodotte in seno alle culture di origine europea - concetti di civiltà, progresso, tempo lineare, abitare domestico, sviluppo infinito... - ha finito spesso per incagliarsi nelle maglie del determinismo essenzialista.

La considerazione del binomio "colonizzato-colonizzatore", non tanto come una realtà contingente definita da specifici attori in gioco, ma come un dato a-storico, invariabile, alla stregua di un assunto metafisico fuori dal tempo, porta a conclusioni quantomeno discutibili.

Ne deriva che chi il caso ha fatto nascere in Occidente è costitutivamente investito di un peccato originale con il quale è costretto a convivere e fare i conti, portandoselo sul groppone fino alla fine dei suoi giorni. Poco importa quali siano i suoi punti di riferimento politico-culturali o la natura del suo rapporto con le istituzioni autoritarie realmente responsabili di predazione delle risorse naturali e imprese genocidarie in giro per il globo. Il suo destino è segnato, iscritto indelebilmente nella natura. L'assunzione della colpa si configura come una condanna collettiva con importanti ricadute sull'autodeterminazione individuale.

Non solo. Per quanto riguarda i movimenti che si muovono su specifiche istanze emerge una sempre più marcata difficoltà di incontro e compenetrazione tra culture politiche differenti, spesso vissute come interferenze indesiderate.

La postura prevalente è quella della presuntuosa salita in cattedra, del settarismo, del trinceramento in una torre d'avorio. La diversità si carica così di segno gerarchico, mutando in una singolare forma di diseguaglianza che trova la propria legittimità nell'assunzione escludente di categorie che ricalcano le molteplici cesure imposte dal patriarcato e dalla colonizzazione, pretendendo di confinare in un'identità data a priori, non solo la capacità di comprensione dell'oppressione, ma persino la facoltà stessa di opporvisi. Se non sei soggett* a una particolare forma di oppressione non puoi coglierne "l'essenza", non puoi criticare le scelte, le pratiche e le modalità organizzative di chi vi si ribella.

La situazione che si viene a creare presenta gruppi e ambiti sociali a compartimenti stagni, disposti soltanto a recepire una supina solidarietà esterna, perché sostanzialmente dominati dalla diffidenza e dalla paralisi della critica.

Mala tempora currunt. In certi casi si è arrivat* al punto di negare la parola o di limitare fortemente la libertà di espressione basandosi su premesse identitarie che non tengono minimamente conto dei posizionamenti scelti e assunti dai soggetti al di fuori dei processi di razzializzazione, sessualizzazione, ecc.

In estrema sintesi, l'unica identità che parrebbe davvero contare a partire da tali presupposti, è quella calata dall'alto, assegnata dall'esterno. Un'identità innata, fissa, rigida, congelata, nella quale l'individuo finisce per esaurirsi.
Posizioni contraddittorie e risvolti funesti
Va da sé che ci troviamo dinanzi ad una colossale contraddizione.

Gli stessi rivoli del movimento transfemminista queer che dalla fine del XX secolo si sono battuti a vario titolo per sbarazzarsi una volta per tutte della pesante sentenza biologica che grava sui corpi di coloro che non si riconoscono nel sesso attribuito loro alla nascita, cui si pretende corrispondano precise caratteristiche e ruoli di genere; gli stessi che hanno reso obsoleto il femminismo della differenza, saldo su posizioni gerarchiche e trans-escludenti; gli stessi che hanno sgomitato per lasciarsi finalmente alle spalle la logica binaria in favore dell'autodeterminazione delle soggettività lgbtqia+, ora sembrerebbero incapaci di fare tesoro di tale impostazione di pensiero e portare fino in fondo le proprie premesse rivoluzionarie, cogliendo a pieno la portata della sfida epocale che ci si pone di fronte.

Rompere l'ordine essenzialista che fonda e sorregge l'ordine patriarcale dovrebbe sapersi accompagnare ad un netto rifiuto dell'essenzializzazione della cultura, che allo stesso modo del binarismo di genere, considera le identità come "sostanze" naturali e immutabili, inchiodate ad un copione già scritto.

Dimostrarsi all'altezza di una radicale e necessaria relativizzazione della dicotomia natura/cultura, ponendola al servizio di un'autonoma produzione di senso e di organizzazione di conflitto dal basso: è la sfida del nostro tempo. Un tempo segnato da uno scenario imperialistico multipolare, tra blocchi di potere consolidati e nazionalismi emergenti, piccole patrie ed identitarismi prefiguranti comunità escludenti. Necessita di un impegno inderogabile che ci mette collettivamente a dura prova, pena l'inesorabile capitolazione di ogni reale ambizione di allargare i margini di autonomia e libertà a qualsiasi latitudine.

Specialmente la questione israelo-palestinese ha rivelato una miopia che non ammette alibi.

Negli ultimi mesi non ci si è limitat* ad esprimere solidarietà con la popolazione palestinese vittima dell'occupazione militare e dei criminali attacchi dello Stato d'Israele nei territori di Gaza e Cisgiordania, la si è interamente e tacitamente identificata in Hamas. Si è scelto di serrare gli occhi per non vedere ciò che davvero rappresenta: un'organizzazione politica e paramilitare islamista che incarna alla perfezione gli interessi della borghesia locale e che ha tenuto per anni i proletari palestinesi in condizione di feroce assoggettamento. Di riflesso, i civili israeliani sono stati tutti a più riprese e indistintamente additati come coloni o attivi sostenitori del governo Netanyahu e delle direttive belliche che stanno decretando il terribile massacro di popolazione civile. Grande è la confusione sotto il cielo. L'implicita connivenza di una parte consistente delle reti queer radicali con i principali propugnatori del fascismo isla­mi­co, così come l'accreditamento della vulgata che vorreb­be le classi subalterne israeliane e palestinesi come pe­rennemente cristallizzate in una comunità nazionale, ri­schia di minare la credibilità dei movimenti che si svilup­pa­no a livello locale e la praticabilità dei percorsi rivo­lu­zio­nari. A dire il vero, nonostante le condizioni politiche proi­bitive, da una parte e dall'altra del fronte di guerra nel Mediterraneo Orientale, c'è chi non si è lasciato am­ma­liare dalle sirene nazionaliste e religiose, chi mani­fe­sta, chi obietta, chi diserta. Sono i refusenik israeliani che rifiutano la guerra. Sono gli abitanti di Gaza scesi in piaz­za al grido di "vogliamo vivere", protestando contro le libertà negate e il clima di repressione interna, ben pri­ma dell'escalation di ten­sio­ne post-pogrom del 7 ot­to­bre 2023. Purtroppo lo si igno­ra scientemente, insistendo nel privilegiare una nar­ra­zio­ne in bianco e nero, senza sfumature di grigio, dove vige un affratellamento secon­do il motto "il nemico del mio ne­mi­co è mio amico". L'im­posizione della Shari'a a Gaza non sembra costituire un problema da affrontare.

Mentre si può dire si sia colto nel segno riconoscendo in Stato, Chiesa, associazioni antiabortiste e catto-fascisti una coalizione oscurantista e liberticida, lo stesso non è valso per il pericolo di instaurazione di un regime teo­cra­tico.

I precetti del Corano vedono nel matrimonio e nella ma­ter­nità un "destino naturale", offendono la dignità della donna relegandola a oggetto sessuale dell'uomo mu­sul­ma­no e a macchina garante della procreazione e del li­gnag­gio. L'incontestabile Legge di Allah prevede che persone sospettate di essere contro natura e/o andare contro l'ordine morale islamico vengano perse­gui­tate, torturate o uccise. La stessa Hamas, per gover­na­re al me­glio la Striscia di Gaza, utilizza l'SSG - Servizio di Si­cu­rezza Generale, una rete di intelligence, che, tra gli altri, svolge il compito di polizia morale sul modello di quel­la iraniana. Tra i suoi compiti, quello di investigare sull'integrità delle donne, far rispettare norme di "de­co­ro" e presentabilità. L'omosessualità è ovviamente ban­di­ta.

L'approvazione indiscriminata di tutte le spinte prove­nien­ti dal fronte pro-Pal ha portato alla mini­miz­za­zio­ne, o, peggio, alla difesa dell'attacco del 7 ottobre in quanto atto di resistenza popolare.

Una "resistenza" che non solo ha provocato la morte di più di milleduecento persone di cui oltre ottocento civili, non solo ha preso di mira kibbutz di estrema sinistra e un festival di musica elettronica, il Nova, ma è stata ca­rat­terizzata da numerosi stupri e tremende violenze ses­suali, reiterate anche sugli ostaggi, e adoperate come ar­ma di guerra dalle milizie di Hamas.

Onestamente, non sapremmo come descrivere un tale po­sizionamento dei movimenti, capaci persino di provare sim­patia per chi costitutivamente ne nega identità e percorsi.

La definizione dei propri obiettivi e la scelta dei mezzi che coerentemente si confanno al loro raggiungimento, è una scommessa non di poco conto per i movimenti contemporanei. L'appoggio all'instaurazione di uno Sta­to-nazione, con al seguito il proprio padronato e un eser­ci­to schierato a protezione dei sacri confini che ce­men­ta­no l'odio tra i popoli, è assai diverso dal sostegno alle mi­lizie rivoluzionarie che difendono l'esperienza del confederalismo democratico nel Rojava, dove al con­tra­rio vi è stato un reale tentativo di superare le divisioni etniche, religiose, culturali, di genere, ecc. in una dimen­sio­ne internazionalista e pluralista, nient'af­fatto nazio­na­li­sta ed escludente.

Riteniamo quanto mai urgente rinnovare l'invito a sviluppare gli anticorpi contro schemi di ragionamento semplicistici che rinchiudono tra le sbarre invisibili dell'essenzialismo la libertà di ciascun* e consegnano lotte di liberazione e riscatto nelle mani di carnefici che hanno da offrire solo schiavitù e tirannia.
Tramandare il fuoco
Sussiste una speranza di fuoriuscita da questo quadro spaventoso? In primis può essere dirimente evidenziare il fatto che siamo tutt* mutàgeni culturali, ossia agenti potenzialmente trasformativi. Senz'altro siamo attra­ver­sat* dall'ambiente culturale e sociale in cui viviamo, ne subiamo l'influenza, ma non ne siamo mai passivamente e integralmente determinat*. Anche se fossimo forzat* a vivere nella peggiore delle distopie totalitarie, persi­ste­reb­be sempre uno scarto, ed è proprio lavorando a partire da questo scarto che tutt* possono essere parte attiva del processo, capaci cioè di sottrarsi alla fasci­na­zio­ne dell'istituito, incidendo volontariamente e coscien­te­mente nella realtà materiale e simbolica, da­re forma a immaginari utopici concretabili grazie al con­flitto autor­ga­nizzato e contribuire ad operare una tra­sfor­ma­zione radicale dell'esistente.

In ogni momento storico si sono fatte largo le dissidenze. In ogni frangente della nostra esistenza possiamo agire in quanto rivoluzionari, contrapponendo ad ogni forma di dominio istanze di libertà e di giustizia sociale. La cultura è dinamica, fluida, mutevole, in continuo divenire, per­ché emerge dall'interazione permanente degli esseri uma­ni.

Chiaramente è di fondamentale importanza saper com­pie­re un lungo ed inesauribile sforzo di decostruzione del sé, riconoscere il privilegio e sapersene spogliare quando investit*, schierandosi al fianco di coloro che vivono l'op­pres­sione e lo sfruttamento sulla propria pelle, rifiutare il ruolo in cui ci vorrebbero inchiodare allo scopo di riprodurre dinamiche di comando-obbedienza. Allo stesso tempo, però, è importante sentirsi liber* di prendere orgogliosamente parola nel solco di una tradizione di pensiero non dogmatica di segno anarchico. L'anarchismo è una proposta politica i cui capisaldi si possono considerare universalmente validi e consustanziali a qualsiasi progetto che rappresenti un'alternativa allo stato di cose presente, seppur declinabili in modi diversi in base ai soggetti che se ne fanno promotori e al contesto nel quale la proposta trova spazio e prende piede.

L'orgoglio di sentirsi parte di una minoranza agente che persevera nell'operare nella storia ma contro la storia. Quella storia segnata dalla riproduzione delle gerarchie di potere e dalle ingiustizie alla quale decidiamo di non piegarci, perché la nostra è innanzitutto una spinta etica. È un'urgenza di mutamento sociale scaturita dall'evidenza delle misere condizioni materiali e morali in cui versa la stragrande maggioranza dell'umanità; un'aspirazione il cui motore non è una presunta necessità "naturale" ma la libera volontà umana.

Parafrasando il compositore austriaco Gustav Mahler: «tradizione non è vegliare le ceneri, ma tramandare il fuoco»; ed ecco che la fiaccola dell'anarchia si rivela essere oggi più che mai un faro di speranza che può illuminare il cammino degli oppressi.

1 Per un approfondimento del concetto di essenzialismo nei movimenti anche in riferimento alla questione palestinese cfr, in questo stesso saggio, "Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro dell'essenzialismo"

2Cfr. l'articolo dell'8 agosto 2023 di Paola Caridi su Lettera 22 "Gaza, proteste (non solo) per l'elettricità" ttps://www.lettera22.it/gaza-proteste-per-lelettricita-e-non-solo/

3Per una lettura più approfondita cfr., in questo stesso saggio, il testo "Il secolo che non vuole finire"

4Cfr nota 1

5Cfr nota 1

6Cfr. "Anarchia e decolonialità", video dell'incontro del 22 marzo 2024 https://www.anarresinfo.org/video-anarchia-e-decolonialita/

7Cfr. dall'introduzione all'incontro su "Anarchia e decolonialità".

8 General Plan Ost: la strategia nazista di insediamento e gestione dello spazio europeo-orientale, considerato come spazio vitale per il popolo tedesco. Questa strategia prevedeva la riduzione numerica della popolazione slava, la schiavizzazione dei sopravvissuti e il totale sterminio delle popolazioni ebraiche e rom.

9 Il così detto Complotto dei Medici è una teoria del complotto inventata da pezzi degli apparati di sicurezza staliniana con cui vennero colpiti una serie di importanti medici di origine ebraica in URSS.

10Gruppi paramilitari afferenti al Sionismo Revisionista. Particolare enfasi veniva posta sulla lotta contro la dominazione britannica, tanto da definirsi forza antimperialista. Parte dei membri del Lehi negli anni '50 entrarono nella Semitic Action, un gruppo che proponeva l'unione di tutte le popolazioni semitiche della regione, realizzando una confederazione arabo-ebraica, in funzione anti-occidentale.

11Histadrut, ovvero e La Federazione Generale dei Lavoratori in Terra d'Israele, il principale sindacato Israeliano, di orientamento sionista di sinistra. La direttiva così detta "del Lavoro Ebraico" indicava a quei settori di economia cooperativa, principalmente agricola, che facevano riferimento al sindacato, di preferire il lavoro di membri della comunità ebraica a quello arabo.

12 Vecchia e Nuova Yishuv, ovvero la popolazione ebraica in Israele. Per vecchia Yishuv si intende la popolazione ebraica residente prima dell'immigrazione sionista.

13Al-Aqsa / Monte del Tempio, l'area su cui sorgeva l'antico Tempio di Gerusalemme e su cui, nei secoli successivi, è sorta la moschea di Al-Aqsa. Per uno studio complessivo del significato di tale luogo si rimanda al libro "The end of days: fundamentalism and the struggle for the Temple Mount", di Gorenberg, Gershom, Oxford University Press, New York, 2002.

14La denominazione "Repubblica Araba Unita" rappresentava un'entità statale costituita da Siria ed Egitto, cui si unì successivamente lo Yemen del nord.

15Dispensazionalismo, dottrina teologica tipica di alcune branche dell'evangelismo che pone l'accento su di una divisione della storia umana in diversi periodi storici di diverso significato teologico che vengono dispensati dalla divinità.

16Meir David Kahane, rabbino israelo statunitense fondatore del Kach, partito di estrema destra israeliano dal cui milieu arrivarno sia l'attentatore dell Tomba dei Patriarchi che l'omicida di Rabin. Dal Kach discende direttamente il partito Otzma Yehudit, presente nel governo Nethanyau.

17 La questione della profondità strategica, ovvero la distanza tra le possibili linee del fronte e i centri geografici vitali di un paese, è stato il cruccio della politica Israeliana fino alle conquiste territoriali della Guerra dei Sei Giorni. Il Sinai venne restituito agli egiziani in cambio del processo di pace sotto egida statunitense, il Golan rimane tuttora sotto controllo Israeliano.

18Idea secondo la quale esistono delle spiegazioni ultime oltre le quali non v'è più conoscenza possibile. Verità definitive, date una volta per tutte, in grado di decretare l'oggettiva impossibilità del cambiamento.

https://www.anarresinfo.org/27-09-tramandare-il-fuoco-presentazione-e-dibattito/
________________________________________
A - I n f o s Notiziario Fatto Dagli Anarchici
Per, gli, sugli anarchici
Send news reports to A-infos-it mailing list
A-infos-it@ainfos.ca
Subscribe/Unsubscribe https://ainfos.ca/mailman/listinfo/a-infos-it
Archive http://ainfos.ca/it
A-Infos Information Center