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(it) Italy, Federazione Anarchica Torinese: Tramandare il fuoco: Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo IV. (4/4) (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Thu, 3 Oct 2024 09:22:16 +0300
Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro dell'essenzialismo 18 ---
Primissimi passi di indagine fenomenologica ---- Riteniamo
particolarmente utile ai fini della trattazione rilevare il predominio
di alcune parole d'ordine rossobrune e comunitariste nel dibattito
politico contemporaneo. Leitmotiv come il superamento dell'annosa
distinzione tra la categoria di destra e la categoria di sinistra,
oppure il ritorno di fiamma dello spirito di popolo in sostituzione alla
lotta di classe, con annessa legittimazione e rafforzamento del potere
statale che di tale "spirito" dovrebbe farsi portatore, li ritroviamo
sovente nell'agone politico democratico, nell'opinione pubblica e nei
principali organi di informazione.
Segue la percezione di un'identità minacciata dalle politiche
neoliberiste, dall'omologazione della società di massa, dal dominio
globale della merce che svuota la forma del suo contenuto e tenta di
penetrare le coscienze per plasmarle. L'evidente senso di smarrimento,
unitamente al progressivo impoverimento del ceto medio che sente
vacillare i propri diritti, ha finito per innescare un po' ovunque un
potente rigurgito sovranista, concretizzatosi nel ripiegamento su un
modello di comunità chiusa che si costituisce nella negazione,
nell'esclusione dell'altr*, dando seguito al disperato tentativo di
rimettere ordine al caos sistemico caratterizzato dall'avanzata del
moloch del capitalismo globalizzato. La ricetta dell'identità forte
cavalca la paura montante di chi si sente derubato del proprio domani,
fornendogli l'illusione di una facile via di fuga salvifica. Infine,
troviamo il cambio di paradigma che segna il passaggio dall'ormai
obsoleto razzismo "scientifico" (tendenza ad affibbiare criteri di
superiorità o inferiorità al patrimonio genetico di un determinato
gruppo umano in contrapposizione a un altro) al più moderno razzismo
differenzialista, da cui deriva un convinto contrasto all'immigrazione
su basi di salvaguardia dell'indipendenza, dell'autenticità,
dell'integrità culturale, agitando lo spauracchio della mescolanza, che
rischierebbe di contaminare una presunta "purezza della tradizione".
L'innegabile successo dei concetti chiave appena messi in luce - a poco
a poco innestati e radicati in tradizioni anche distanti tra loro, con
significativi slittamenti concettuali e sociali riscontrabili nella
produzione di idee dal basso - è sia inquadrabile come fenomeno reattivo
al capitalismo trionfante, alla precarietà strutturale e all'incertezza
del futuro, sia incoraggiato da un'ambiguità di fondo che
contraddistingue in modo determinante e inequivocabile questo impianto
teorico, che ben si sposa con il clima generale della postmodernità: un
eterno presente anomico, caratterizzato da una produzione di senso usa e
getta.
La colonizzazione dell'immaginario, parzialmente raggiunta da un modo di
pensare fondamentalmente reazionario che finisce per negare con forza il
diritto al dissenso interno, ha radici molto lontane nel tempo, dal
Nazionalbolscevismo nato nel contesto della Repubblica di Weimar in
Germania, alla destra extraparlamentare ispirata alla Nouvelle Droite di
Alain De Benoist in Francia, fino al revisionismo del marxismo in chiave
campista e anti-atlantista, operata da Costanzo Preve in Italia.
Uno degli effetti perniciosi è l'identificazione del nemico
esclusivamente nello "straniero", soggetto immediatamente ascrivibile a
un blocco nazionale inalterabile, considerato territorialmente,
culturalmente e mentalmente omogeneo.
Spesso il nemico lo abbiamo in casa, parla la nostra lingua, ha gli
stessi usi e costumi. Come affermava Brecht, il nemico - il padrone che
sfrutta o il governo che ci manda in guerra - marcia sempre alla nostra
testa.
È quindi più che mai importante dare battaglia culturale per porre un
freno a una tendenza che ha subito una netta accelerazione negli ultimi
anni e che a lungo andare non può che causare ulteriori danni
all'elaborazione di analisi e strumenti di lotta in seno ai movimenti
sociali.
La Cultura elevata a Essenza
Focalizziamo la nostra attenzione sulla piaga del differenzialismo
culturale, figlio di un processo di essenzializzazione e mitizzazione
della cultura. La cultura viene concepita come una natura assolutizzata,
come una categoria a-storica, ben definita e immutabile, e in quanto
tale esente da valutazioni e critiche.
Quest'ultima assume ben presto le sembianze di un'entità monolitica non
meticciabile, non contaminabile, sclerotizzata nel tempo e nello spazio,
e infine perfettamente sovrapponibile a una concezione interclassista di
popolo, che smette così di conservare al suo interno qualsivoglia
differenza di classe, discriminazione sociale o di genere. Seguendo
questo filone logico, ne consegue che ad acquistare dignità ontologica è
esclusivamente la "cultura" di un determinato "popolo", pensata e
percepita come un'imponente costruzione omogenea che persegue
l'unanimismo, ovvero mira ad assimilare ed estinguere in se stessa tutte
le sue parti, anche le più conflittuali e antitetiche del corpo sociale,
fagocitate, private della propria specificità e del proprio potenziale
di rottura.
La mancanza di una scappatoia semantica rispetto a un'operazione
autoritaria di sussunzione conduce a cortocircuiti e pone difficoltà di
problematizzazione. Esempi concreti di questa concezione deformante
possono essere individuati nella maldestra giustificazione delle
mutilazioni genitali femminili effettuate in età infantile in paesi come
la Somalia, piuttosto che la Repubblica di Guinea o l'Arabia Saudita, o
ancora dell'obbligo di indossare l'hijab nella teocrazia a guida ayatollah.
Il muro di incomunicabilità eretto da taluni esponenti della sinistra
radicale che infantilizza gli individui giudicandoli totalmente in balia
dell'ambiente culturale e sociale nel quale sono inseriti, vede come
drammatica conseguenza l'invisibilizzazione dei percorsi di lotta ed
emancipazione che si sviluppano in quegli stessi territori. È il caso
delle donne guineane e somale che si oppongono quotidianamente
all'orrore delle mutilazioni, risultato di un'impostazione misogina e
patriarcale della società, oppure delle donne che in Iran rivendicano a
loro rischio e pericolo il diritto di non nascondere il proprio corpo,
ribellandosi alle imposizioni di un fondamentalismo religioso per sua
stessa natura nemico della libertà.
Esprimere solidarietà concreta con chi non accetta l'ordine costituito e
le sue leggi decidendo di prendere in mano il proprio futuro, qualunque
sia il contesto di riferimento, è il primo passo per l'edificazione di
un mondo di libere ed eguali.
Quale universale?
L'universale occidentale, costitutivamente escludente e marginalizzante
nei confronti di tutt* coloro che non sono considerat* pienamente
cittadini (poveri, migranti, donne, soggettività non conformi alla norma
etero-cispatriarcale, ecc.), e il relativismo assoluto, sostanzialmente
acritico nei confronti di usanze e pratiche potenzialmente deleterie o
oppressive, sono due facce della stessa medaglia. Entrambi i sistemi si
collocano in posizione equidistante rispetto a un'idea di universale
plurale in via di costruzione, che non può che scaturire dai percorsi di
lotta intrapresi dai movimenti, attraversati innanzitutto da coloro che
si soggettivano a partire dalla presa di consapevolezza della propria
condizione.
Non è mera astrazione, ma la prospettiva concreta del pluriverso, un
mondo nel quale convivono più mondi, nel quale sia possibile valorizzare
al massimo la diversità nell'uguaglianza. Occorre gettare le zavorre
culturali per esperire una pluralità di approcci libertari che favorisca
l'approdo all'individuo, anziché consolidarlo come punto di partenza
inscatolato in ruoli imposti dalle logiche del dominio.
L'altro da noi è differente, ma non per questo più o meno degno, più o
meno valido.
L'altro è in realtà lo spazio dell'incontro, del confronto paritario,
dello scambio arricchente, della contaminazione, della critica, della
crescita collettiva attraverso la ricerca di punti di contatto e
comunanza di intenti.
Un'occasione di intessere alleanze arrivando a conclusioni simili,
battendo sentieri non identici ma nemmeno incompatibili. Terreno fertile
per praticare dal basso relazioni sociali egualitarie ed inclusive. La
dimensione del particolare è in quest'ottica un valore aggiunto in
potenza, mai un ostacolo a priori. Ciò che ci unisce, lo affermiamo con
convinzione, è più forte di ciò che ci divide.
Uno sguardo critico entro le mura di casa
I movimenti del nuovo millennio hanno fatto propri alcuni strumenti
della decolonialità per ampliare lo sguardo.
L'idea di smontare una visione del mondo pregiudiziale e appiattente,
derivata dalla standardizzazione di chiavi interpretative prodotte in
seno alle culture di origine europea - concetti di civiltà, progresso,
tempo lineare, abitare domestico, sviluppo infinito... - ha finito
spesso per incagliarsi nelle maglie del determinismo essenzialista.
La considerazione del binomio "colonizzato-colonizzatore", non tanto
come una realtà contingente definita da specifici attori in gioco, ma
come un dato a-storico, invariabile, alla stregua di un assunto
metafisico fuori dal tempo, porta a conclusioni quantomeno discutibili.
Ne deriva che chi il caso ha fatto nascere in Occidente è
costitutivamente investito di un peccato originale con il quale è
costretto a convivere e fare i conti, portandoselo sul groppone fino
alla fine dei suoi giorni. Poco importa quali siano i suoi punti di
riferimento politico-culturali o la natura del suo rapporto con le
istituzioni autoritarie realmente responsabili di predazione delle
risorse naturali e imprese genocidarie in giro per il globo. Il suo
destino è segnato, iscritto indelebilmente nella natura. L'assunzione
della colpa si configura come una condanna collettiva con importanti
ricadute sull'autodeterminazione individuale.
Non solo. Per quanto riguarda i movimenti che si muovono su specifiche
istanze emerge una sempre più marcata difficoltà di incontro e
compenetrazione tra culture politiche differenti, spesso vissute come
interferenze indesiderate.
La postura prevalente è quella della presuntuosa salita in cattedra, del
settarismo, del trinceramento in una torre d'avorio. La diversità si
carica così di segno gerarchico, mutando in una singolare forma di
diseguaglianza che trova la propria legittimità nell'assunzione
escludente di categorie che ricalcano le molteplici cesure imposte dal
patriarcato e dalla colonizzazione, pretendendo di confinare in
un'identità data a priori, non solo la capacità di comprensione
dell'oppressione, ma persino la facoltà stessa di opporvisi. Se non sei
soggett* a una particolare forma di oppressione non puoi coglierne
"l'essenza", non puoi criticare le scelte, le pratiche e le modalità
organizzative di chi vi si ribella.
La situazione che si viene a creare presenta gruppi e ambiti sociali a
compartimenti stagni, disposti soltanto a recepire una supina
solidarietà esterna, perché sostanzialmente dominati dalla diffidenza e
dalla paralisi della critica.
Mala tempora currunt. In certi casi si è arrivat* al punto di negare la
parola o di limitare fortemente la libertà di espressione basandosi su
premesse identitarie che non tengono minimamente conto dei
posizionamenti scelti e assunti dai soggetti al di fuori dei processi di
razzializzazione, sessualizzazione, ecc.
In estrema sintesi, l'unica identità che parrebbe davvero contare a
partire da tali presupposti, è quella calata dall'alto, assegnata
dall'esterno. Un'identità innata, fissa, rigida, congelata, nella quale
l'individuo finisce per esaurirsi.
Posizioni contraddittorie e risvolti funesti
Va da sé che ci troviamo dinanzi ad una colossale contraddizione.
Gli stessi rivoli del movimento transfemminista queer che dalla fine del
XX secolo si sono battuti a vario titolo per sbarazzarsi una volta per
tutte della pesante sentenza biologica che grava sui corpi di coloro che
non si riconoscono nel sesso attribuito loro alla nascita, cui si
pretende corrispondano precise caratteristiche e ruoli di genere; gli
stessi che hanno reso obsoleto il femminismo della differenza, saldo su
posizioni gerarchiche e trans-escludenti; gli stessi che hanno sgomitato
per lasciarsi finalmente alle spalle la logica binaria in favore
dell'autodeterminazione delle soggettività lgbtqia+, ora sembrerebbero
incapaci di fare tesoro di tale impostazione di pensiero e portare fino
in fondo le proprie premesse rivoluzionarie, cogliendo a pieno la
portata della sfida epocale che ci si pone di fronte.
Rompere l'ordine essenzialista che fonda e sorregge l'ordine patriarcale
dovrebbe sapersi accompagnare ad un netto rifiuto
dell'essenzializzazione della cultura, che allo stesso modo del
binarismo di genere, considera le identità come "sostanze" naturali e
immutabili, inchiodate ad un copione già scritto.
Dimostrarsi all'altezza di una radicale e necessaria relativizzazione
della dicotomia natura/cultura, ponendola al servizio di un'autonoma
produzione di senso e di organizzazione di conflitto dal basso: è la
sfida del nostro tempo. Un tempo segnato da uno scenario imperialistico
multipolare, tra blocchi di potere consolidati e nazionalismi emergenti,
piccole patrie ed identitarismi prefiguranti comunità escludenti.
Necessita di un impegno inderogabile che ci mette collettivamente a dura
prova, pena l'inesorabile capitolazione di ogni reale ambizione di
allargare i margini di autonomia e libertà a qualsiasi latitudine.
Specialmente la questione israelo-palestinese ha rivelato una miopia che
non ammette alibi.
Negli ultimi mesi non ci si è limitat* ad esprimere solidarietà con la
popolazione palestinese vittima dell'occupazione militare e dei
criminali attacchi dello Stato d'Israele nei territori di Gaza e
Cisgiordania, la si è interamente e tacitamente identificata in Hamas.
Si è scelto di serrare gli occhi per non vedere ciò che davvero
rappresenta: un'organizzazione politica e paramilitare islamista che
incarna alla perfezione gli interessi della borghesia locale e che ha
tenuto per anni i proletari palestinesi in condizione di feroce
assoggettamento. Di riflesso, i civili israeliani sono stati tutti a più
riprese e indistintamente additati come coloni o attivi sostenitori del
governo Netanyahu e delle direttive belliche che stanno decretando il
terribile massacro di popolazione civile. Grande è la confusione sotto
il cielo. L'implicita connivenza di una parte consistente delle reti
queer radicali con i principali propugnatori del fascismo islamico,
così come l'accreditamento della vulgata che vorrebbe le classi
subalterne israeliane e palestinesi come perennemente cristallizzate in
una comunità nazionale, rischia di minare la credibilità dei movimenti
che si sviluppano a livello locale e la praticabilità dei percorsi
rivoluzionari. A dire il vero, nonostante le condizioni politiche
proibitive, da una parte e dall'altra del fronte di guerra nel
Mediterraneo Orientale, c'è chi non si è lasciato ammaliare dalle
sirene nazionaliste e religiose, chi manifesta, chi obietta, chi
diserta. Sono i refusenik israeliani che rifiutano la guerra. Sono gli
abitanti di Gaza scesi in piazza al grido di "vogliamo vivere",
protestando contro le libertà negate e il clima di repressione interna,
ben prima dell'escalation di tensione post-pogrom del 7 ottobre
2023. Purtroppo lo si ignora scientemente, insistendo nel privilegiare
una narrazione in bianco e nero, senza sfumature di grigio, dove vige
un affratellamento secondo il motto "il nemico del mio nemico è mio
amico". L'imposizione della Shari'a a Gaza non sembra costituire un
problema da affrontare.
Mentre si può dire si sia colto nel segno riconoscendo in Stato, Chiesa,
associazioni antiabortiste e catto-fascisti una coalizione oscurantista
e liberticida, lo stesso non è valso per il pericolo di instaurazione di
un regime teocratico.
I precetti del Corano vedono nel matrimonio e nella maternità un
"destino naturale", offendono la dignità della donna relegandola a
oggetto sessuale dell'uomo musulmano e a macchina garante della
procreazione e del lignaggio. L'incontestabile Legge di Allah prevede
che persone sospettate di essere contro natura e/o andare contro
l'ordine morale islamico vengano perseguitate, torturate o uccise. La
stessa Hamas, per governare al meglio la Striscia di Gaza, utilizza
l'SSG - Servizio di Sicurezza Generale, una rete di intelligence, che,
tra gli altri, svolge il compito di polizia morale sul modello di
quella iraniana. Tra i suoi compiti, quello di investigare
sull'integrità delle donne, far rispettare norme di "decoro" e
presentabilità. L'omosessualità è ovviamente bandita.
L'approvazione indiscriminata di tutte le spinte provenienti dal
fronte pro-Pal ha portato alla minimizzazione, o, peggio, alla
difesa dell'attacco del 7 ottobre in quanto atto di resistenza popolare.
Una "resistenza" che non solo ha provocato la morte di più di
milleduecento persone di cui oltre ottocento civili, non solo ha preso
di mira kibbutz di estrema sinistra e un festival di musica elettronica,
il Nova, ma è stata caratterizzata da numerosi stupri e tremende
violenze sessuali, reiterate anche sugli ostaggi, e adoperate come
arma di guerra dalle milizie di Hamas.
Onestamente, non sapremmo come descrivere un tale posizionamento dei
movimenti, capaci persino di provare simpatia per chi costitutivamente
ne nega identità e percorsi.
La definizione dei propri obiettivi e la scelta dei mezzi che
coerentemente si confanno al loro raggiungimento, è una scommessa non di
poco conto per i movimenti contemporanei. L'appoggio all'instaurazione
di uno Stato-nazione, con al seguito il proprio padronato e un
esercito schierato a protezione dei sacri confini che cementano
l'odio tra i popoli, è assai diverso dal sostegno alle milizie
rivoluzionarie che difendono l'esperienza del confederalismo democratico
nel Rojava, dove al contrario vi è stato un reale tentativo di
superare le divisioni etniche, religiose, culturali, di genere, ecc. in
una dimensione internazionalista e pluralista, nient'affatto
nazionalista ed escludente.
Riteniamo quanto mai urgente rinnovare l'invito a sviluppare gli
anticorpi contro schemi di ragionamento semplicistici che rinchiudono
tra le sbarre invisibili dell'essenzialismo la libertà di ciascun* e
consegnano lotte di liberazione e riscatto nelle mani di carnefici che
hanno da offrire solo schiavitù e tirannia.
Tramandare il fuoco
Sussiste una speranza di fuoriuscita da questo quadro spaventoso? In
primis può essere dirimente evidenziare il fatto che siamo tutt*
mutàgeni culturali, ossia agenti potenzialmente trasformativi.
Senz'altro siamo attraversat* dall'ambiente culturale e sociale in cui
viviamo, ne subiamo l'influenza, ma non ne siamo mai passivamente e
integralmente determinat*. Anche se fossimo forzat* a vivere nella
peggiore delle distopie totalitarie, persisterebbe sempre uno scarto,
ed è proprio lavorando a partire da questo scarto che tutt* possono
essere parte attiva del processo, capaci cioè di sottrarsi alla
fascinazione dell'istituito, incidendo volontariamente e
coscientemente nella realtà materiale e simbolica, dare forma a
immaginari utopici concretabili grazie al conflitto autorganizzato e
contribuire ad operare una trasformazione radicale dell'esistente.
In ogni momento storico si sono fatte largo le dissidenze. In ogni
frangente della nostra esistenza possiamo agire in quanto rivoluzionari,
contrapponendo ad ogni forma di dominio istanze di libertà e di
giustizia sociale. La cultura è dinamica, fluida, mutevole, in continuo
divenire, perché emerge dall'interazione permanente degli esseri umani.
Chiaramente è di fondamentale importanza saper compiere un lungo ed
inesauribile sforzo di decostruzione del sé, riconoscere il privilegio e
sapersene spogliare quando investit*, schierandosi al fianco di coloro
che vivono l'oppressione e lo sfruttamento sulla propria pelle,
rifiutare il ruolo in cui ci vorrebbero inchiodare allo scopo di
riprodurre dinamiche di comando-obbedienza. Allo stesso tempo, però, è
importante sentirsi liber* di prendere orgogliosamente parola nel solco
di una tradizione di pensiero non dogmatica di segno anarchico.
L'anarchismo è una proposta politica i cui capisaldi si possono
considerare universalmente validi e consustanziali a qualsiasi progetto
che rappresenti un'alternativa allo stato di cose presente, seppur
declinabili in modi diversi in base ai soggetti che se ne fanno
promotori e al contesto nel quale la proposta trova spazio e prende piede.
L'orgoglio di sentirsi parte di una minoranza agente che persevera
nell'operare nella storia ma contro la storia. Quella storia segnata
dalla riproduzione delle gerarchie di potere e dalle ingiustizie alla
quale decidiamo di non piegarci, perché la nostra è innanzitutto una
spinta etica. È un'urgenza di mutamento sociale scaturita dall'evidenza
delle misere condizioni materiali e morali in cui versa la stragrande
maggioranza dell'umanità; un'aspirazione il cui motore non è una
presunta necessità "naturale" ma la libera volontà umana.
Parafrasando il compositore austriaco Gustav Mahler: «tradizione non è
vegliare le ceneri, ma tramandare il fuoco»; ed ecco che la fiaccola
dell'anarchia si rivela essere oggi più che mai un faro di speranza che
può illuminare il cammino degli oppressi.
1 Per un approfondimento del concetto di essenzialismo nei movimenti
anche in riferimento alla questione palestinese cfr, in questo stesso
saggio, "Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro dell'essenzialismo"
2Cfr. l'articolo dell'8 agosto 2023 di Paola Caridi su Lettera 22 "Gaza,
proteste (non solo) per l'elettricità"
ttps://www.lettera22.it/gaza-proteste-per-lelettricita-e-non-solo/
3Per una lettura più approfondita cfr., in questo stesso saggio, il
testo "Il secolo che non vuole finire"
4Cfr nota 1
5Cfr nota 1
6Cfr. "Anarchia e decolonialità", video dell'incontro del 22 marzo 2024
https://www.anarresinfo.org/video-anarchia-e-decolonialita/
7Cfr. dall'introduzione all'incontro su "Anarchia e decolonialità".
8 General Plan Ost: la strategia nazista di insediamento e gestione
dello spazio europeo-orientale, considerato come spazio vitale per il
popolo tedesco. Questa strategia prevedeva la riduzione numerica della
popolazione slava, la schiavizzazione dei sopravvissuti e il totale
sterminio delle popolazioni ebraiche e rom.
9 Il così detto Complotto dei Medici è una teoria del complotto
inventata da pezzi degli apparati di sicurezza staliniana con cui
vennero colpiti una serie di importanti medici di origine ebraica in URSS.
10Gruppi paramilitari afferenti al Sionismo Revisionista. Particolare
enfasi veniva posta sulla lotta contro la dominazione britannica, tanto
da definirsi forza antimperialista. Parte dei membri del Lehi negli anni
'50 entrarono nella Semitic Action, un gruppo che proponeva l'unione di
tutte le popolazioni semitiche della regione, realizzando una
confederazione arabo-ebraica, in funzione anti-occidentale.
11Histadrut, ovvero e La Federazione Generale dei Lavoratori in Terra
d'Israele, il principale sindacato Israeliano, di orientamento sionista
di sinistra. La direttiva così detta "del Lavoro Ebraico" indicava a
quei settori di economia cooperativa, principalmente agricola, che
facevano riferimento al sindacato, di preferire il lavoro di membri
della comunità ebraica a quello arabo.
12 Vecchia e Nuova Yishuv, ovvero la popolazione ebraica in Israele. Per
vecchia Yishuv si intende la popolazione ebraica residente prima
dell'immigrazione sionista.
13Al-Aqsa / Monte del Tempio, l'area su cui sorgeva l'antico Tempio di
Gerusalemme e su cui, nei secoli successivi, è sorta la moschea di
Al-Aqsa. Per uno studio complessivo del significato di tale luogo si
rimanda al libro "The end of days: fundamentalism and the struggle for
the Temple Mount", di Gorenberg, Gershom, Oxford University Press, New
York, 2002.
14La denominazione "Repubblica Araba Unita" rappresentava un'entità
statale costituita da Siria ed Egitto, cui si unì successivamente lo
Yemen del nord.
15Dispensazionalismo, dottrina teologica tipica di alcune branche
dell'evangelismo che pone l'accento su di una divisione della storia
umana in diversi periodi storici di diverso significato teologico che
vengono dispensati dalla divinità.
16Meir David Kahane, rabbino israelo statunitense fondatore del Kach,
partito di estrema destra israeliano dal cui milieu arrivarno sia
l'attentatore dell Tomba dei Patriarchi che l'omicida di Rabin. Dal Kach
discende direttamente il partito Otzma Yehudit, presente nel governo
Nethanyau.
17 La questione della profondità strategica, ovvero la distanza tra le
possibili linee del fronte e i centri geografici vitali di un paese, è
stato il cruccio della politica Israeliana fino alle conquiste
territoriali della Guerra dei Sei Giorni. Il Sinai venne restituito agli
egiziani in cambio del processo di pace sotto egida statunitense, il
Golan rimane tuttora sotto controllo Israeliano.
18Idea secondo la quale esistono delle spiegazioni ultime oltre le quali
non v'è più conoscenza possibile. Verità definitive, date una volta per
tutte, in grado di decretare l'oggettiva impossibilità del cambiamento.
https://www.anarresinfo.org/27-09-tramandare-il-fuoco-presentazione-e-dibattito/
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