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(it) Italy, FDCA, Cantiere #28: Marx o Keynes? - La gestione del capitalismo è superata (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Tue, 1 Oct 2024 08:28:18 +0300
La sinistra keynesiana si inganna immaginando che la crisi degli
investimenti e dell'attività economica derivi dalla semplice avidità dei
detentori di capitale. Non basta spostare masse di denaro dai paradisi
fiscali e dai portafogli titoli verso lo Stato e i salari per arginare
questa crisi. È il sistema capitalista che deve essere messo in discussione.
Dopo trent'anni di crescita eccezionalmente forte seguita alla seconda
guerra mondiale, o a causa di questa, la congiuntura nelle economie
capitalistiche ha cambiato segno a metà degli anni '70. Queste ultime
hanno poi visto il loro declino per lunghi decenni. La sinistra radicale
attribuisce questa situazione alla svolta ideologica operata negli anni
'80 sotto il nome di "neoliberismo".
Secondo questa sinistra la classe dominante avrebbe messo in piedi un
vasto sistema finanziario il cui scopo sarebbe stato quello di
appropriarsi della ricchezza collettiva a scapito degli investimenti
produttivi, dell'occupazione e dei salari. La fuga dei capitali verso la
speculazione priverebbe in questo modo la società delle sue risorse e lo
Stato dei suoi margini di manovra, generando immancabilmente debiti e
deficit. A loro volta i partiti liberali al potere nasconderebbero
all'opinione pubblica la realtà di questo colpo di stato azionario,
coprendolo con la persistente denuncia dei costi sociali. Ritenuti
troppo alti, questi ultimi priverebbero i datori di lavoro dei mezzi per
svolgere il loro ruolo sociale di creatori di ricchezza.
Irrimediabilmente condannati alla crisi
Marx ha elaborato una teoria del capitalismo che permette di contestare
risolutamente questa lettura dei fatti. Le critiche liberali e
socialdemocratiche sono entrambe errate. Secondo lui, il capitalismo è
irrimediabilmente condannato a crisi la cui intensità deve
necessariamente raggiungere, in determinate fasi, livelli insostenibili.
La sua analisi fa procedere la "ricchezza" dal "lavoro".
Tuttavia, contrariamente a un'interpretazione fin troppo diffusa, non si
tratta di ricchezza e di lavoro in senso generale, ma della loro forma
propriamente capitalistica, come precisa accuratamente nel primo
capitolo del Capitale. L'autore stabilisce che la ricchezza capitalista
raffigurata dalle merci e rappresentata dal denaro dipende dalla
quantità di forza lavoro spesa per la loro fabbricazione.
Questo tipo di ricchezza cresce quando cresce contestualmente questo
tipo di lavoro. Il lavoro qui in questione è un lavoro astratto ridotto
a un semplice dispendio quantitativo di forza muscolare, nervosa e
cerebrale, in contrapposizione al lavoro concreto, qualitativo, che si
riferisce a capacità tecniche. Questa quantificazione mediante il
"tempo" del lavoro astratto è l'elemento oggettivo della
commensurabilità delle merci e stabilisce così il loro carattere di
scambiabilità sul mercato.
Ora, ogni singolo capitalista si sforza di ridurre la quantità di lavoro
destinata alla produzione delle proprie merci per migliorare la propria
posizione rispetto alla concorrenza. Si può tuttavia immaginare cosa
accadrebbe riguardo al valore e al denaro se tutta la produzione fosse
completamente automatizzata: il risultato sarebbe un mondo in cui la
funzione socializzante dello
scambio commerciale non avrebbe più un ruolo. Tuttavia, nell'attuale
contesto tecnologico, l'incremento complessivo del lavoro è diventato
insufficiente. Dal canto loro le economie emergenti, la cui produzione
si basa su strumenti tecnicologici di livello inferiore rispetto a
quelli delle economie avanzate, impiegano certamente più lavoro umano,
ma sulla base di un sistema salariale precario al limite della schiavitù.
La tendenza al ribasso del saggio di profitto, aspetto centrale del
marxismo ben conosciuto, spiega i problemi posti dalla crescente
sostituzione tecnologica del lavoro umano. L'estensione e
l'approfondimento dei rapporti capitalistici possono rallentare questo
declino. Allo stesso modo la riduzione dei costi salariali e il
prolungamento della giornata lavorativa . Un altro esito è la massiccia
svalorizzazione del capitale che, dopo aver causato la criminale
devastazione della civiltà attraverso grandi crisi e guerre, permette di
iniziare un nuovo ciclo.
Il fallimento è solo rinviato
La congiuntura è tornata a essere critica, dicevamo. In effetti, la
rivoluzione della microelettronica avvenuta a cavallo degli anni '70 e
'80 ha fatto cadere il sistema di accumulazione del valore in difficoltà
inestricabili. Una quantità sempre crescente di capitale giaceva
inutilizzata, il che ha spinto l'intellighenzia capitalista ad attuare
la famosa finanziarizzazione dell'economia. La sua funzione era quella
di drenare il risparmio resosi disponibile per concentrarlo e tentare di
destinarlo ad attività industriali e commerciali più o meno promettenti.
Avendo imparato dai precedenti errori nella gestione delle crisi e
temendo le loro conseguenze sociali e politiche disastrose, l'ingegneria
finanziaria è passata di sofisticazione in sofisticazione per rinviare
il più possibile la diagnosi di bancarotta. L'espansione della
globalizzazione e del libero scambio non sarà però sufficiente.
Nel quadro di interventi monetari basati sulla manipolazione dei tassi
di interesse o sul riscatto di titoli
pubblici e privati, il credito e il debito hanno potuto in tal modo
gonfiarsi fino a dimensioni esagerate e senza precedenti, alimentando
bolle speculative alle quali a sua volta si alimentava la produzione di
merci. Il debito pubblico americano supera ormai i 20.000 miliardi di
dollari e quello della Cina rappresenta il 250 % del suo PIL! La
crescita di questo inizio di millennio potrebbe essere stimolata in modo
totalmente artificioso. Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dalla
retorica dei partiti di sinistra, la finanza non è stata nemica di un
sistema di mercato fondamentalmente sano, ma si è rivelata invece come
una provvidenziale stampella, e proprio per questa ragione rappresenta
una condanna senza mezzi termini del capitalismo stesso.
Illusioni regolazioniste
La sinistra keynesiana si inganna immaginando che la crisi degli
investimenti e dell'attività economica derivi dalla semplice avidità dei
detentori di capitale. Non basta spostare masse di denaro dai paradisi
fiscali e dai portafogli titoli verso lo Stato e i salari per arginare
questa crisi. È il sistema capitalista che deve essere messo in
discussione. Anzi, sarebbe necessario che il dispendio di lavoro
puntualmente incrementato a causa di questi spostamenti aumenti ancora,
e così via in modo costante - cosa che i nuovi standard tecnici della
produzione non permettono più. Così una volta al potere la sinistra
rinuncia prima o poi alle roboanti promesse fatte il giorno prima. È
solo nella situazione di crollo dei mercati che torneranno all'ordine
del giorno l'interventismo statale e il rimpatrio dei capitali, e questo
con il consenso delle classi possidenti. Si potrà così mettere fine al
periodo di sgravi fiscali di cui godono i grandi gruppi coinvolti nella
guerra commerciale. Questa riregolamentazione non costituirà pertanto
una politica di "sinistra", ma di semplici misure razionali di
salvataggio dei rapporti di produzione capitalistici. Non porteranno al
benessere generale, ma solo a un temporaneo male minore destinato a un
sicuro successivo degrado. Nonostante tutto, ci saranno sempre persone a
salutare questa misera manifestazione come la definitiva vittoria della
ragione. Ricordiamoci che le figure tutelari della sinistra riformista,
Keynes e Roosevelt, si inscrivono nella scia del liberalismo più sfrenato.
Necessità della rottura anticapitalista
La ricchezza capitalista non si presta alla "condivisione". Essendo
costituita da merci, procede per "scambio" e quindi esige una continua
pressione sui salari. La lotta di classe trova qui il suo fondamento
oggettivo. La parola d'ordine della condivisione della "ricchezza"
riformulata in chiave keynesiana come desiderio di vedere il capitale
reinvestito in attività economiche e occupazione è diventata
completamente obsoleta. La concentrazione del denaro nelle mani di pochi
grandi gruppi, così come il suo essere gonfiato dai processi della
finanza globalizzata, danno l'impressione che l'investimento redditizio
sarebbe sempre possibile e capace di innescare una crescita
autosostenibile. Ma questa impressione è falsa e bisogna andare oltre il
risentimento verso i "ricchi" per puntare invece la spada della critica
contro il capitalismo e le sue strutture fondamentali (merce, lavoro
astratto, denaro, Stato, ecc.), ovvero contro gli accomodamenti illusori
delle politiche di riforma e contro qualsiasi atteggiamento di fiducia
in un duraturo compromesso di classe a cui una parte del movimento di
protesta pensa di poter tornare.
La crisi del capitalismo non è la crisi del potere costituito, il quale
potrebbe anche vedersi rafforzato e trovare appoggio, se necessario,
nella sua ala "sinistra".
Wil (AL Parigi nord-est)- Alternative Libertaire
http://alternativalibertaria.fdca.it/
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