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(it) Italy, Sicilie Libertaria #453 - Cruciverba nero (3). Parole incrociate del littorio. (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Tue, 17 Dec 2024 07:39:09 +0200
Prigionieri di questo macabro passatempo, impenitenti, figli di quel
disgraziato boia chi molla, ci traghettano dalle camice brune ai loro
degni camerati italiani in camicia nera, cominciando con un loro vanto,
sperando di stupirci ricordandoci una conquista degli alleati, in questo
caso Tobruk, che cade nelle mani dell'asse il 21 gennaio 1941 e servì
solo a rallentare quella stupida macellazione mondiale protraendola per
altri quattro anni. ---- Siccome noi italiani siamo brava gente,
soprattutto dalla memoria corta, viene piuttosto facile ai nostri soloni
del cruciverba, adesso sotto l'egida minacciosa del fascio, ridurre la
dittatura nera del ventennio a una banda di goliardici amiconi, uniti
per il bene della patria, dediti a farle rivivere il sogno dell'impero
romano e, per subito ambientarci, ci indicano il loro acclamato faro
guida, il condottiero classico che altri non può essere che il duce, e,
per meglio identificarlo, ci chiedono di una Nobile famiglia romana, tra
le tante, proprio quella di Torlonia, nella cui villa omonima visse il
loro Mussolini, per introdurci nel ventennio nero del secolo scorso,
piangendo, nel frattempo, per la Venezia che non esiste più, intendendo
quella tridentina che nell'ottobre del 1922 venne invasa da migliaia di
fascisti per soffocare l'amministrazione liberale e spazzare ogni
tendenza autonomistica, considerata da molti storici una prova del nove,
prima della famigerata pagliacciata, costataci troppo cara, che fu la
marcia su Roma e, chicca imperdibile, per farci spremere per benino le
meningi, ci sottopongono l'arcano relativo al fascismo degli albori per
farci capire di riferirsi all'antemarcia, appena citata.
Per la maggioranza degli italiani quegli anni furono di povertà e di
fame, fascisti per ignoranza e imposizione, pagarono a caro prezzo le
manie di grandezza di un guitto magniloquente, da essere messi peggio
delle popolazioni conquistate dalle vittorie folgoranti dell'Asse.
L'autarchia, subentrata alle sanzioni comminate all'Italia per la sua
voglia di un posto al sole, ricordiamocelo, contribuì a impoverire ancor
più gli italiani. Il governo monolitico del pelato spacciò i ripieghi
alimentari e vestiari al pari di conquiste, così per rinnovarne i
mendaci fasti, ci tocca capire quale fosse il tessuto di lana grezza di
quei tempi, non certamente una roba di lusso ma semplicemente del misero
orbace, di cui erano fatte le giacche delle divise dei fascisti che, per
estensione, indicò la divisa tout court. Degna compagnia fu una fibra
sintetica del periodo autartico, la famosa quanto disgraziata lanital,
poco più che uno straccio scadente che non aveva nulla della lana, né
dell'intelligenza italiana, quindi niente di che vantarci ma
nell'economia delle domande, l'estensore della domanda su tutto questo
tace e non ci resta che compiangere chi dovette indossare tanti pregiati
vestiari, come, per propaganda faceva anche chi era un'autorità
fascista, al secolo gerarca, a causa anche delle ristrettezze imposte
delle sanzioni che colpirono l'Italia in seguito all'invasione delle
cosiddette terre al sole dell'impero, ricordandoci, a seguire, coloro
che fortemente sostennero le campagne d'Africa che, a questo punto
abbastanza sgamati, comprendiamo fossero i cosiddetti colonialisti,
fermo restando che guerre, sanzioni e autarchia li pagò sempre e
soltanto il popolo, sempre più incapace di sottrarsi allo strangolamento
della morsa fascista.
Così, portandoci un po' indietro nel tempo, sguazzando nel feroce
colonialismo sabaudo tricolore, vorrebbero convincerci quanto fosse
diventata grande l'Italia, citando fieramente dei poveri cristi,
enfatizzandoli, suggerendoci che sono i nostri soldati coloniali in
Eritrea, come se fossimo ancora in possesso di colonie e non fosse
cambiato nulla. Si tratta dei cosiddetti Ascari e, non essendoci alcuna
dittatura senza eroi, il fascio cruciverbista, nel suo delirio, per
ricordarci di quelle terre al sole, dove non si risparmiarono vite
umane, con sommo disprezzo di ogni regola etica e internazionale,
vorrebbe stupirci chiedendoci del difensore di Adua, un certo
Barattieri, mandato in Etiopia nel 1895 che, nel glorioso medagliere di
beceri criminali di guerra, come vedremo qualche rigo più sotto, non è
stato certamente solo, dimenticandosi, l'estensore delle domande, di
spiegarci che fosse andato a invadere e ammazzare un popolo, per lo più
ancora armato di arco e frecce, lance e residui bellici risalenti alla
prima guerra mondiale e non avevano nessun'altra colpa che vivere in un
povero posto al sole. Così, dopo una sana lezione di storia patria
attorno al colonialismo, per ricapitolarlo, ci toccherà trovare
l'acronimo identificativo del cosiddetto Impero italiano in Africa
subito decriptato in aoi, che tradurrei in ahimè, per noi e per coloro
che delle feroci aggressioni italiche in Africa, ancora oggi, si onorano
e vantano, citando diversi spregevoli personaggi del tempo, elevati al
rango di eroi,
Così proseguendo, non certo per sondare le nostre conoscenze in
geografia, ci proiettano su uno sconosciuto Altopiano etiopico che
risponde a Ogaden che, così sparato, potrebbe trovarsi anche sul pianeta
Marte, senza manco accennare che quella zona venne annessa alla Somalia
italiana in seguito alla guerra d'Etiopia dove venne fatto largo uso di
un gas bellico che, manco si trattasse di lanci di coriandoli, scopriamo
trattarsi del famigerato iprite, usato indiscriminatamente contro i
soldati africani e i civili inermi per, non sazi, mantenerci dentro il
perimetro africano, servirsi anche della grammatica e domandarci quale
sia l'articolo di Alamein e, ipso facto, ne veniamo subito a capo: El e
chi conosce bene la storia di quel periodo, sa che a El Alamein, il 23
ottobre del 1942, Rommel e la sua armata corazzata italotedesca caddero
nella trappola tesagli dal comandante dello scacchiere medio orientale
britannico Auckinleck.
L'invincibile volpe del deserto, il già nominato Rommel, rimasto
isolato, lontano da eventuali rinforzi e dai necessari rifornimenti,
grazie alla tattica messa in campo dai britannici, dovette capitolare.
Sembrerebbe una contraddizione o un passo falso che a ricordarci questa
cocente resa sia un tifoso dell'Asse ma è soltanto uno strambo tentativo
di spacciarla come un collettivo atto di eroismo da parte degli
sconfitti, vittime, secondo loro, della viltà degli inglesi che ebbero
la meglio solo perché superiori di numero, dimenticando che Rommel
avesse semplicemente trovato uno più furbo di lui e cominciato a
scontare i suoi peccati. Per chiudere con questi falsi eroi e l'Africa,
non mancheranno di volere sapere da noi anche chi fosse stato l'eroe di
Macallè, uno che fa il paio con il già nominato Oreste Barattieri e
corrisponde a Galliano, Giuseppe di nome, famoso perché resistette
all'attacco dell'esercito di Menelik, preponderante quanto si vuole ma
strenuo difensore del suo popolo e della sua terra contro l'italiano
usurpatore.
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