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(it) Italy, FDCA Cantiere #29: Il piano Draghi: Vecchie ricette a sostegno del capitale - Cristiano Valente (ca, de, en, fr, pt, tr) [traduzione automatica]

Date Wed, 20 Nov 2024 08:04:40 +0200


* Il caos del sistema economico capitalistico, mirante unicamente al maggior profitto, continua la sua inesorabile traiettoria. ---- Centralizzazione e concentrazione di    capitali, riduzione dei salari, finanziamenti delle compagini governative nazionali e sovranazionali a sostegno degli oligopoli industriali, dazi doganali,continuo aumento delle spese militari. ---- Nel capitalismo un'industria o si espande o scompare. Un commercio non può stabilizzarsi. La maggiore produttività e la maggiore concorrenza portano al monopolio. La guerra commerciale e competitiva del sistema economico capitalistico è logica di guerra.
Solo una battaglia internazionalista può scongiurare le minacce di guerra ed un    reale avanzamento verso l'affrancamento delle masse lavoratrici. *

Il Piano Draghi sul futuro della competitività dell'economia europea, presentato il 9 settembre scorso    dall'ex presidente della Bce alla Presidente della Commissione Europea a Bruxelles, Ursula von der Leyen, e successivamente al Parlamento Europeo, rappresenta le linee guida economiche e quindi politiche su cui l'unione degli Stati e quindi la borghesia europea si muoverà nei prossimi anni nello scacchiere mondiale. Scenario questo caratterizzato sempre più da un forte divario fra blocchi economici continentali, “in primis” USA, Cina e Russia, dovuto ad una accelerazione della concorrenza e della competitività industriale. Per colmare questo divario, il rimedio che l'ex Governatore della Banca Europea, ed ex Primo Ministro del Consiglio Italiano, indica è un piano di massicci investimenti pubblici e privati, con impieghi annui di circa 800 miliardi di euro per almeno cinque anni. In particolare, in questo studio Draghi evidenzia il gap dell'Unione Europea negli investimenti produttivi che riguarda settori avanzati come il digitale, la difesa, la sicurezza, l’energia e l’aerospazio. Le motivazioni indicate sono una politica frammentata e una mancanza di coordinamento a livello europeo, soprattutto nel campo della ricerca e sviluppo. A tale proposito si rammenta che gli Stati Uniti vantano un bilancio federale centralizzato, circa 13 volte più grande di quello europeo, dove invece predominano sussidi nazionali non coordinati. Questa mancanza di coordinamento tra paesi è, per il Presidente Draghi, anche alla radice della crisi energetica che ha fortemente contribuito alla recente fiammata inflattiva: l’Europa è il più grande acquirente mondiale di gas, ma diversamente da quanto fatto per i vaccini, durante la pandemia, non ha saputo aggregare il proprio potere negoziale, mettendo in atto singoli piani di rifornimento statali con accordi bilaterali. Un altro aspetto critico evidenziato è l’incapacità dell’Europa di innovare, mentre la Cina, da tempo ha smesso di copiare e ha iniziato a guidare l’innovazione globale. Ecco cosa scrive Draghi a proposito: “L’Europa è bloccata in una struttura industriale statica, con poche nuove aziende    che sorgono.... Poiché le aziende dell’UE sono specializzate in tecnologie mature, dove il potenziale di innovazione è limitato, spendono meno in ricerca e innovazione (R&I) – 270 miliardi di euro in meno rispetto alle loro controparti statunitensi nel 2021..... l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurre l’innovazione in commercializzazione e le aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive.....Con il mondo che si trova sull’orlo di una rivoluzione AI, l’Europa non può permettersi di rimanere bloccata nelle “tecnologie e industrie di mezzo” del secolo precedente. Dobbiamo sbloccare il nostro potenziale innovativo. Questo sarà fondamentale non solo per essere leader nelle nuove tecnologie, ma anche per integrare l’AI nelle nostre industrie esistenti, in modo che possano rimanere all’avanguardia”.
L'analisi continua nell'indicare questa mancanza di visione strategica di un compiuto polo economico e politico continentale europeo anche in altri ambiti, ma soprattutto nel settore della difesa. Si evidenzia che mentre la Cina ha quintuplicato le proprie spese militari negli ultimi vent’anni, l' Europa spende un terzo rispetto agli Stati Uniti e gran parte degli acquisti europei di tecnologie militari proviene da importazioni americane. Tale divario non indebolisce solo l’autonomia industriale europea, ma conferma e rafforza ulteriormente l’industria militare statunitense. Il settore della    difesa spaziale “space defence”, ad esempio, è dominato dagli Stati Uniti, mentre l’Europa continua a investire briciole, rendendosi sempre più marginale anche in un ambito cruciale per la sicurezza futura.
A tal proposito, con l'aggiunta della classica ipocrisia tipica di tutte le classi borghesi, veri    apprendisti stregoni e con il classico fare gesuitico sulla pace nel mondo, possiamo letteralmente leggere: “La pace è il primo e principale obiettivo dell’Europa. Ma le minacce alla sicurezza fisica sono in aumento e dobbiamo prepararci. (grassetto a cura della Redazione) L’UE è collettivamente il secondo Paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa. L’industria della difesa è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa. Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno” ed inoltre    “...l’Europa deve reagire a un mondo geopolitico meno stabile, in cui le dipendenze stanno diventando vulnerabilità e non si può più contare su altri soggetti per la propria sicurezza.... L’UE deve anche rispondere a un contesto di sicurezza radicalmente mutato lungo i confini”
Riguardo poi alla profonda crisi che sta attraversando l'industria automobilistica europea, sempre più evidente e conclamata, dalla crisi della Wolkswaghen in Germania    ed a quella del gruppo Stellantis in Italia e negli stessi Stati Uniti d'America, lo studio ci ricorda che dal 2000 al 2022, la quota globale di autoveicoli prodotti dall’Europa è scesa dal 31% al 15%, mentre la Cina ha visto un incremento significativo, passando dal 4% al 32%. confermando una perdita di competitività in uno dei settori storicamente più rilevanti per il nostro continente:
“Secondo le simulazioni della BCE, se l’industria cinese dei veicoli elettrici dovesse seguire una traiettoria di sovvenzioni simile a quella applicata al settore del solare fotovoltaico, la produzione interna di veicoli elettrici dell’UE diminuirebbe del 70% e la quota di mercato globale dei produttori europei si ridurrebbe di 30 punti percentuali. La sola industria automobilistica impiega, direttamente e indirettamente, quasi 14 milioni di europei”
Legato al settore dell'automotive    vi è poi il costo di produzione delle batterie che in UE risulta più che doppio rispetto a quello cinese e L’Europa, inoltre, si trova in ritardo anche nel campo delle infrastrutture di trasporto. Nell’ultimo decennio, gli investimenti in questo settore sono diminuiti del 14%, mentre sono aumentati del 45% negli Stati Uniti e sono triplicati in Cina. Questo ritardo si riflette anche nel campo delle nuove tecnologie, come il “cloud computing” e l’intelligenza artificiale, dove l’Europa ha perso il treno delle tecnologie avanzate, rimanendo marginale sul mercato globale. Il sistema finanziario europeo, inoltre ha una eccessiva dipendenza dalle banche locali per il supporto alle imprese, che evitano con ciò la disciplina e la trasparenza della quotazione in borsa. Questa struttura perpetua l’inefficienza e non consente un adeguato accesso a fonti di capitale diversificate, limitando ulteriormente la crescita delle imprese. Emerge il quadro di una Europa che sta sempre più perdendo la capacità di innovare e di investire in settori strategici per il futuro. Se non si interviene con piani ambiziosi e coordinati, è questa la raccomandazione centrale del piano, il rischio è che il continente perda ulteriormente terreno, compromettendo non solo la propria competitività economica, ma anche la sicurezza e l’indipendenza strategica. Queste in estrema sintesi gli obiettivi che l'ex governatore indica come piano di sviluppo dei prossimi anni ad una Europa che, gigante economico, con i suoi “440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese, che rappresenta circa il 17% del PIL mondiale”,dal punto di vista politico è un aggregato non ancora compiuto. Si raccomanda a tal proposito una organizzazione politica europea che non si basi più sulla unanimità dei voti dei singolo Stati membri, ma che possa includere sempre più un “voto a maggioranza qualificata”. Torneremo nei nostri prossimi interventi sui maggiori dettagli di questo Piano, che investe ed indica anche altri settori importanti di sviluppo compreso la ripresa di un piano energetico comprensivo dell'energia nucleare, convinti che le indicazioni quivi contenute saranno di riferimento e di discussione per i prossimi anni, anche se la sua fattibilità concreta, quella di un polo europeo coeso politicamente ed economicamente, dipenderà da molte altre incognite e processi interni agli attuali singoli Stati europei, che potranno accelerare come ritardare le scelte indicate dal Piano. In definitiva lo sviluppo e l'affermazione di un nuovo polo imperialista europeo      non è ancora in atto, seppure obiettivo indicato chiaramente dal Piano Draghi e auspicato da vasti settori padronali, in special modo dai grandi gruppi privati e pubblici.
In tal senso basta ricordare le recenti affermazioni del Presidente francese, Emmanuel Macron, sulla possibilità e necessità di mandare “nostri soldati” in suolo ucraino, così come le precedenti affermazioni di Mario Monti, senatore a vita ex Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Ministro dell'Economia e delle Finanze, Commissario Europeo per la concorrenza, paladino delle convinzioni liberali ed europeiste, sulla necessità di “spargimenti di sangue” nei processi di unificazione ed integrazione politica ed economica.(1) Ma momentaneamente ci interessa evidenziare che ancora una volta la caratteristica fondamentale ed implicita del sistema economico capitalistico presuppone processi in cui la competitività e la maggior produttività rappresentano i primi processi di una guerra commerciale che inevitabilmente porta ad un confronto ed uno scontro militare. Non casualmente, come abbiamo visto, il settore della Difesa è particolarmente inserito in questo studio. Cosi come il riferimento ad una necessità di un vasto e robusto finanziamento pubblico, del resto mai del tutto scomparso, ma che rappresenta un definitivo    superamento di quella    narrazione che per quasi un quarantennio è stato il leitmotiv delle diverse compagini governative statali, sia di sinistra che conservatori, sulla necessità di uno    Stato minimo, sul piccolo e bello, sulla imprenditorialità diffusa e molecolare. Seguiamo ancora brevemente il Piano. Sulla necessità di un robusto finanziamento pubblico si afferma: “... il settore privato non sarà in grado di fare la parte del leone nel finanziamento degli investimenti senza il sostegno del settore pubblico.....Per massimizzare la produttività, sarà necessario un finanziamento congiunto per gli investimenti in beni pubblici europei” così come sulla necessità di aumentare la scala di produzione e quindi la maggiore centralizzazione e concentrazione del capitale superando anche ideologicamente la novella del piccolo è bello: “La mancanza di un vero Mercato unico impedisce inoltre a un numero sufficiente di aziende nell’economia in generale di raggiungere dimensioni sufficienti per accelerare l’adozione di tecnologie avanzate.... rispetto agli Stati Uniti in proporzione l’UE ha meno piccole e medie imprese e più microimprese. Tuttavia, esiste uno stretto legame tra le dimensioni delle aziende e l’adozione delle tecnologie. I dati degli Stati Uniti mostrano che l’adozione aumenta con le dimensioni dell’azienda per tutte le tecnologie avanzate.... Le dimensioni favoriscono l’adozione perché le aziende più grandi possono distribuire gli elevati costi fissi degli investimenti nell’IA su un fatturato maggiore, possono contare su un management più qualificato per apportare i necessari cambiamenti organizzativi e possono impiegare l’IA in modo più produttivo grazie a set di dati più ampi. In altre parole, un Mercato unico frammentato pone le imprese dell’UE in una posizione di svantaggio in termini di velocità di adozione e diffusione delle nuove applicazioni di IA”.
Infine è di particolare importanza il riferimento contenuto nel Piano, ad una inevitabile politica economica che utilizzi    “pragmaticamente” sia pratiche protezionistiche verso alcuni prodotti e mercati che una politica libero scambista, che dovrebbe garantire contemporaneamente nuovi mercati di sbocco e investimenti diretti esteri (IDE)
Come già detto torneremo con maggiore    capacità di analisi nei diversi dettagli e settori che questo Piano indica, ma da questa prima lettura ci appare, da una parte, evidente l'ipocrisia e la contraddittorietà di un capitalismo compassionevole che si propone di contemperare esigenze competitive e coesione sociale, dall'altra, vista la larga sovrapposizione al Piano dei fondamentali indirizzi dei partiti e coalizioni così detti progressisti e di sinistra, a partire in Italia dal PD e la CGIL,(2) l'ulteriore utopia riformista, la quale immaginando possibile sviluppo del sistema economico capitalistico e sviluppo e garanzie dei bisogni delle masse lavoratrici, favorisce e si fa complice delle peggiori politiche protezionistiche e/o liberiste, a secondo dei bisogni particolari che si vogliono difendere di volta in volta, senza mai risolvere la questione dell'affrancamento reale delle    masse lavoratrici in una visione continentale ed internazionalista. Il sistema economico capitalistico ha le sue invarianze e le sue intrinseche ineluttabilità. A partire dalla prima rivoluzione industriale in Inghilterra, chiaramente con le profonde modifiche del livello tecnologico oggi raggiunto, il dibattito e le necessità delle diverse borghesie nazionali ricalcano le stesse argomentazioni e persino alcuni lessici usati nella odierna letteratura economica.
Già nella seconda metà del secolo XIX° l'Inghilterra, indicata “l'officina del mondo”,(3) similarmente a come oggi viene indicata nella letteratura economica la Cina, aveva aperto il suo mercato nazionale ai cereali del continente, chiedendo in cambio il libero accesso dei suoi    prodotti industriali nei mercati continentali. Il dibattito e lo scontro fra le diverse borghesie nazionali verteva, come oggi, fra fautori del libero scambio e sostenitori dei dazi protettivi per i diversi settori produttivi nazionali.
A fronte di tale invarianza è necessario riconfermare la critica, le riflessioni e l'impostazione che le organizzazioni del movimento operaio, hanno da sempre sostenuto, individuando e mettendo all'ordine del giorno il superamento del sistema economico politico capitalistico.
Ecco come, alla fine del XIX° secolo F. Engels    affronta la questione sul libero scambio e sui dazi protettivi mettendo in luce la contraddittorietà e l'impossibilità per il sistema economico capitalistico di superare la sua intrinseca contraddizione: “Ma niun Paese potrà tornar al libero scambio in un momento propizio in cui tutte o quasi le sue industrie possono sfidare la concorrenza estera in mercato aperto. Il necessario passaggio sarà urgente assai prima che tale momento propizio sia anche solo sperabile. L'urgenza apparirà in tempi diversi nei vari settori commerciali, i cui interessi causeranno le liti più edificanti, intrighi di lobby e cospirazioni parlamentari. Per il meccanico, l'ingegnere e l'armatore il dazio sul ferro grezzo alza il prezzo delle loro merci impedendone l'esportazione; il tessitore di cotone saprebbe escludere i tessuti inglesi dai mercati cinesi e indiani se il dazio sul filato non gli alzasse prezzo del filo; e così via. Quando un'industria nazionale ha conquistato affatto il mercato interno, allora l'esportazione le diviene indispensabile. Nel capitalismo un'industria o si espande o scompare. Un commercio non può stabilizzarsi. La fine dell'espansione è l'inizio della rovina. Il progresso delle invenzioni meccaniche e chimiche (surrogando incessante il lavoro umano e accrescendo ed accentrando incessante il capitale) crea in ogni industria stagnante un ingorgo di lavoratori e di capitali, che non trova sbocco perché lo stesso fenomeno è comune a tutte le altre industrie. Così passar dal commercio interno al commercio estero diviene vitale per le industrie interessate; ma si scontra coi diritti acquisiti, cogli interessi di altri ancora più avvantaggiati dal protezionismo che dal libero scambio. Ne segue una lotta lunga e tenace fra liberoscambisti e protezionisti, che passa ai politici di mestiere, che dirigono i tradizionali partiti politici, il cui interesse è che il conflitto perduri anziché cessar”(4)

Note:

(1) “Dovremmo recuperare una parola desueta: sacrifici. Davvero possiamo avanzare nell’integrazione europea, reggendo due guerre sulle nostre frontiere, senza sacrifici? L’Italia non si è fatta senza spargimenti di sangue” . Intervista al Corriere della Sera del 6 maggio 2024
(2) “Come ti vorrei...giusta e libera democratica e solidale. Cara Europa cominciamo da qui”    di Ivan Pedretti.    Edizione Liberetà
(3) Dazio protettivo e libero scambio. Friedrich Engels (1888) Prefazione alla edizione statunitense del 1888 del “Discorso sul libero scambio” di Karl Marx.
(4) Idem

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