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(it) Italy, Federazione Anarchica Torinese: Tramandare il fuoco: Per un approccio libertario alla questione palestinese. Una critica a essenzialismo e nazionalismo III. (3/4) (ca, de, en, pt, tr)[traduzione automatica]
Date
Wed, 2 Oct 2024 09:17:15 +0300
Il secolo che non vuole finire ---- Le radici del conflitto
Arabo-Israeliano sono profondamente radicate nella storia del Novecento.
Il progetto arabo-nazionalista e il progetto sionista si sviluppano
all'interno delle dinamiche del nazionalismo che caratterizza l'inizio
del novecento prima e dello scontro tra blocchi poi. ---- Il sionismo
viene inizialmente considerato, a inizio Novecento, con sospetto da una
rilevante parte delle comunità ebraiche europee le quali aspiravano a
un'assimilazione, fosse tramite i mezzi delle democrazie liberali o
tramite i movimenti rivoluzionari, entro le società europee.
Il progetto genocidiario, quasi pienamente compiuto, del fascismo
tedesco, che sfruttò anche gli storici sentimenti antisemiti delle
popolazioni dell'Est Europa, così come la collaborazione del fascismo
italiano e francese, comportò la completa distruzione delle comunità
ebraiche in Europa Orientale all'interno delle linee guida del General
Plan Ost.8
Il fallimento delle democrazie liberali nel bloccare i piani genocidiari
anche solo fornendo rifugio a chi fuggiva dalla Germania prima e
dall'Europa poi, da ricordare il blocco dell'immigrazione ebraica nella
Palestina mandataria imposto dalle autorità del Regno Unito nel 1939 o
il caso dei profughi della SS St. Luis respinti dagli USA e rimandati a
morire in Germania, così come l'abominevole approccio opportunista
dell'URSS segnarono la fine dell'opposizione al sionismo entro quel che
rimaneva di quel mondo Yddish superstite della Shoa. I sopravvissuti che
provavano a tornare negli shtetl di origine venivano cacciati, quando
non direttamente uccisi, dai polacchi, ucraini, lituani e russi che
avevano occupato i villaggi depopolati. I venti di antisemitismo che
soffiavano nella Russia staliniana, basti pensare alla costruzione del
così detto Complotto dei Medici 9, non rassicurarono di certo i
sopravvissuti, anche quelli più legati al movimento operaio, movimento
in cui le masse ebraiche dell'Est Europa pure avevano espresso un grande
numero di militanti.
Se le comunità ebraiche italiane e francesi, pur profondamente colpite
dalla Shoa e dal collaborazionismo locale, poterono ancora trovare una
casa al loro ritorno dai campi di sterminio così non fu per quel che
rimaneva delle popolazioni ebraiche dell'Est.
Questa situazione pose le basi dell'emigrazione di massa verso il
nascente stato di Israele.
Gli anni Venti e Trenta
Nel corso degli anni '20 e '30 si inizia a incancrenire lo scontro
nell'ex regione Ottomana conosciuta come Palestina, sotto dominio
britannico dal termine della Prima Guerra Mondiale.
Vi sono più fattori che contribuirono a questo. L'approccio del sionismo
revisionista, che darà poi origine all'Irgun e al Lehi 10, si iscrive
pienamente entro quella mistica del sangue e del suolo che in quegli
anni permeavano il discorso politico europeo. Al contempo il sionismo
socialista subisce il peso delle proprie contraddizioni: la forzatura di
un progetto che fosse contemporaneamente classista e nazionalista
ripiega sempre più verso forme di nazionalismo a tinte proletarie, ben
esemplificate dalla direttiva del "Lavoro Ebraico" voluta dalla
dirigenza del'Histadrut 11.
Questo non accade per qualche arcano complotto colonizzatore ma per una
corrosione dei principi del classismo rivoluzionario che avveniva negli
anni della reazione seguita allo slancio rivoluzionario post Prima
Guerra Mondiale. Contemporaneamente il nazionalismo arabo prende forma e
anche qua vediamo all'opera quella mistica del sangue e del suolo,
d'altra parte le élite dei popoli colonizzati andavano a studiare nelle
università delle élite dei colonizzatori. È sbagliato affermare che
l'erodersi dei rapporti tra la popolazione araba e la popolazione
ebraica della Vecchia Yishuv sia semplicemente figlia dell'emergere
della Nuova Yishuv 12 sionista. Il pogrom di Hebron del 1929 colpì con
ferocia i membri della comunità ebraica da sempre lì residente, una
comunità ebraica della Vecchia Yishuv, antisionista per motivi di
carattere religioso.
L'immigrazione ebraica nell'ex provincia di Siria Ottomana metteva in
crisi l'idea di supremazia Araba in una terra pregna di un forte
significato religioso data la presenza di Al-Aqsa / Monte del Tempio 13.
Lo scontro tra due progetti nazionalisti nella stessa terra era inevitabile.
L'ambiguo colonialismo britannico
L'ambiguità del dominio coloniale del Regno Unito inasprì lo scontro. Se
questo in una prima fase favorì l'immigrazione ebraica con la
dichiarazione di Balfour, seguendo il razionale di insediare una
popolazione vista come affine e funzionale allo sviluppo economico e al
mantenimento del dominio coloniale, successivamente fece un dietro front
limitando l'emigrazione ebraica e, in diversi casi, lasciando scannare i
contendenti. Vi sono diverse spiegazioni, non mutualmente escludenti, a
questo comportamento del governo di Londra. In primo luogo vi era l'uso
del classico strumento del divide et impera: fintanto che arabi ed ebrei
si ammazzavano tra di loro non se la prendevano più di tanto con il
dominio coloniale. Secondariamente il sionismo si dimostra un progetto
politico ben poco controllabile e strumentalizzabile: figlio del
sentimento di rivalsa di una popolazione che da secoli subiva
discriminazioni in terra europea e che vedeva crescere i sentimenti
antisemiti anche in paesi fino a quel momento giudicati come
relativamente sicuri - la Germania, l'Italia e l'Austria - aveva ben
poco voglia di essere strumento dell'imperialismo di Sua Maestà.
Quello che doveva essere un matrimonio di reciproco interesse, condito
da misticheggianti vagheggiamenti anglicani su Gerusalemme, celebrato da
Lord Balfour divenne uno scontro tra le politiche coloniali del Regno
Unito e il tentativo di creazione di uno spazio sicuro per le masse
ebraiche che si sentivano sempre più strette nella morsa dei
nazionalismi europei.
L'espulsione delle comunità ebraiche dai paesi arabi
Contemporaneamente iniziava il processo di espulsione delle comunità
ebraiche dai paesi arabi. In Iraq il governo fascista di Rashid Ali
al-Gaylani scatenò i pogrom - conosciuti come Farhud - del 1941. Se fino
a quel momento il sionismo aveva avuto poca presa in una comunità
ebraica, quella irachena, che puntava all'assimilazione, dopo il Farhud
l'emigrazione verso il focolaio nazionale ebraico divenne una scelta
obbligata per molti.
Nel Marocco, sottoposto alla dominazione coloniale francese e al
controllo del regime di Vichy, le comunità ebraiche locali subirono una
crescente ostilità che le spinse verso una quasi totale emigrazione
verso il nascente stato di Israele. Simili situazioni si ebbero in
Algeria, Tunisia, Yemen, Siria e Libano.
Questo processo di espulsione si ebbe a partire dagli anni '20 e fu
originato da più fattori: le tradizionali forme di antisemitismo
presenti in quei paesi furono esacerbate dai tentativi di ingegneria
sociale del colonialismo europeo, soprattutto francese, il quale in
Algeria concesse la cittadinanza agli appartenenti alla locale comunità
ebraica, cittadinanza da cui erano esclusi gli arabi, e dall'emergere di
un nazionalismo arabo che poneva l'accento sulla supremazia di
un'identità araba e islamica sulle altre popolazioni locali.
Il 1948: il grande esodo palestinese
Gli eventi del 1948 che portarono alla convulsa nascita dello Stato di
Israele, appoggiato dai capofila di ambo i blocchi ma osteggiato dal
decadente impero inglese, provocò l'esodo di centinaia di migliaia di
arabi di Palestina. Se i proprietari fondiari arabi e i ceti mercantili
semplicemente spostarono i loro interessi in Egitto, in Libano e
Giordania, i contadini rimasti senza terra e diseredati presero la via
dei campi profughi.
Per comprendere il comportamento di USA e URSS bisogna tenere conto di
come ambo le potenze avevano la necessità di ridimensionare l'impero
britannico. Gli USA in nome dell'apertura di nuovi spazi commerciali e
politici a cui avere accesso senza l'ingombrante mediazione di Londra e
in continuità ideologica del progetto di autodeterminazione dei popoli
in un quadro borghese caro a Wilson, l'URSS aveva ben presente che la
classe dirigente del nascente stato israeliano, appartenente al sionismo
socialista, era filo-sovietica e progettava di attirare Israele entro la
propria sfera di influenza. La fine della monarchia filo-britannica in
Egitto fece cambiare fronte all'URSS, che passò dal fornire armi agli
israeliani al fornirle agli egiziani, giudicando il Cairo un partner più
interessante. Il Regno Unito per tentare di mantenere il controllo di
Suez si alleò con Tel Aviv nella disastrosa operazione del 1956.
Il cambio di campo dello stato Israeliano, da stato non allineato e con
rapporti con ambo i blocchi, a stato inserito nel blocco atlantico si
compì a partire da questo episodio.
La guerra dei Sei Giorni e la conquista di Gerusalemme
Gli anni '50 e '60 sono segnati da un continuo stato di tensione tra i
vari paesi confinanti. Il tentativo nasseriano di unificare lo spazio
politico arabo nella Repubblica Araba Unita14 avrà come suo fulcro
l'opposizione allo stato Israeliano. Al di là delle pesanti
contraddizioni interne al progetto, che fallirà nel giro di pochi anni,
uno dei colpi finali fu dato dal fallimento del confronto sul piano
militare con Israele. Il tentativo di attacco combinato delle forze
arabe del giugno del '67 si concluse con un violentissimo attacco
preventivo attuato dall'IDF che portò alla completa distruzione
dell'aviazione egiziana, l'occupazione dell'intero Sinai, di Gaza, fino
ad allora sotto controllo egiziano, e di buona parte del Golan e,
soprattutto, alla conquista di Gerusalemme Est e della Cisgiordania,
fino a quel momento rimaste sotto il controllo giordano.
La conquista di Gerusalemme è da considerarsi come un importante punto
di rottura da un punto di vista culturale, dato il ruolo svolto da
questa città per tutte e tre le così dette Religioni del Libro in quanto
profezia sostanziatasi.
Per il sionismo religioso la conquista di Gerusalemme e Monte del Tempio
fornì il carburante ideologico per la sua espansione, facendolo passare
da movimento relativamente marginale a importante movimento di massa.
Contemporaneamente il cristianesimo dispensazionalista 15 vide nella
riconquista di Gerusalemme l'avverarsi delle visioni profetiche sulla
fine dei tempi e l'avvicinarsi del Millennio.
Per parte del mondo islamico si trattò sempre di una profezia di fine
dei tempi.
Israele/Giordania: un rapporto ambiguo
A partire dal periodo successivo alla Guerra dei Sei Giorni si creerà un
sempre più ambiguo rapporto tra il regno Hashemita di Giordania, l'unica
monarchia dell'area non spazzata via dalle rivoluzioni social-nazionali
degli anni '50, e Israele. Ci sono diversi fattori da tenere in
considerazione: la Giordania aveva mantenuto saldi rapporti con il Regno
Unito e, tramite di esso, si era legata al blocco atlantico; cresceva la
preoccupazione dell'élite giordana di fronte alla presenza di imponenti
masse di profughi palestinesi che si organizzavano parallelamente allo
stato giordano entro i confini di esso; il regno era interessato a
mantenere il controllo, fonte di prestigio, di Al- Aqsa, di cui,
comunque, mantiene, e manteneva già all'epoca, la custodia anche se
questa è territorialmente inglobata da Israele.
La questione della scomoda presenza dell'OLP verrà risolta manu militari
dalla monarchia con il Settembre Nero del 1970. Contemporaneamente
verranno creati dei contatti ai vertici tra la monarchia giordana e il
governo israeliano. La Giordania si allontanò così tanto dagli altri
paesi arabi al punto che Re Hussein, alla vigilia della guerra dello Yom
Kippur del '73, si recò personalmente e in segreto a incontrarare il
primo ministro israeliano Golda Meir per informarla delle intenzioni
egiziane e siriane, nel tentativo di sventare la guerra.
Proprio la guerra dello Yom Kippur vedrà il definitivo tramonto delle
ipotesi arabe di vittoria militare contro Israele. Una guerra iniziata
in una posizione di vantaggio, con un attacco a sorpresa su due fronti e
l'impiego di innovative tattiche e armamenti che permettevano alla
fanteria di tenere testa alle forze corazzate e di mitigare la superiori
capacità aeree di Israele, venne completamente rovesciata in meno di due
settimane: le divisioni corazzate siriane che avevano quasi sfondato sul
Golan costrette a una poco dignitosa rotta; l'esercito israeliano a
poche decine di chilometri da Damasco; la terza armata egiziana
accerchiata dallo scavallamento del canale effettuato dagli israeliani,
i quali giungevano anche a un centinaio di chilometri da una sguarnita
Cairo.
Una pace armata
Se tramontarono le ipotesi egiziane e siriane di vittoria contro Israele
tramontò anche l'idea israeliana, che aveva tenuto banco dalla
fulminante vittoria del '67, di potere mantenere indefinitamente i
vicini sotto scacco. Il processo di pace tra stati era così sbloccato.
Furono questi gli eventi che portarono alla normalizzazione dei rapporti
tra Israele, Egitto e Giordania, patrocinati dagli USA i quali
attirarono l'Egitto di Sadat, e ancora più di Mubarak dopo l'omicidio
per mano islamista di Sadat, nella propria sfera di influenza.
Il progetto nazionalista, seppure laico e socialista, dell'OLP adotta la
retorica terzomondista tipica dell'élite delle nazioni subordinate che
tentavano di ricavare il loro spazio sotto l'egida dell'URSS, e prende
corpo dopo il completo fallimento degli stati arabi nel fornire una
soluzione mediante la guerra alla questione palestinese. Ma anche il
progetto dell'OLP non andrà a buon fine.
Il sostanziale fallimento dell'OLP è segnato dall'espulsione dalla
Giordania nel settembre del '70, dal ricorso a una demenziale - e infame
- strategia di attacchi contro la popolazione civile - non solo in
Israele ma anche in paesi terzi - e dall'incapacità di reggere il
confronto militare, anche in termini asimmetrici, con l'esercito
israeliano. Il normalizzarsi dei rapporti con la Giordania e l'Egitto
sotto l'egida statunitense lasciarono campo libero ai governi del Likud,
giunti al potere in Israele a fine anni '70, per attaccare in profondità
l'OLP in Libano, annullandone la capacità militare.
Virata a destra
Dalla fine degli anni '70 si vede lo spostamento a destra della politica
Israeliana, sono gli anni dei rapporti stretti con il regime
suprematista sudafricano e della nascita del movimento dei coloni, della
collaborazione con le compagini fasciste dei maroniti in Libano. Nel
corso degli anni '80 l'emergere dei movimenti millenaristi evangelici
negli Stati Uniti fanno da volano al messianesismo ebraico. Se
inizialmente il sionismo ultranazionalista e religioso è relegato in un
angolo della politica israeliana nei successivi venti anni si assisterà
alla crescente legittimazione dei figli politici del rabbi Kahane 16.
In questi anni sorge la questione degli insediamenti israeliani in
Cisgiordania. Siamo di fronte a un fenomeno peculiare. Se inizialmente
gli insediamenti nei territori occupati, attuati da organizzazioni del
sionismo religioso, vennero gestiti ambiguamente dai governi labouristi,
i quali li vedevano come possibile merce per scambi territoriali con i
paesi vicini e una risposta alla perenne questione della profondità
strategica 17, le organizzazioni dei coloni riuscirono a ricavarsi un
sempre maggiore spazio politico. Quando a fine anni '70 il Likud, erede
del Sionismo Revisionista, giunse al potere vi giunse grazie ai voti e
alla mobilitazione dei coloni. Nel corso degli anni '80 e '90 le fronde
più oltranziste di questi vennero comunque mantenute ai margini e un
ulteriore giro repressivo avverrà dopo l'omicidio di Rabin nel 1994,
omicidio compiuto da un kahanista. Dalle stesse file proveniva
l'attentatore della Tomba dei Patriarchi.
L'omicidio di Rabin nei fatti segnerà la fine del processo di pace,
molto contestato in campo palestinese in quanto eccessivamente
sbilanciato verso Israele, e quella finestra di soluzione diplomatica
che si era aperta in seguito alla Prima Intifada si chiuderà nel giro di
pochi anni.
Specularmente in campo palestinese si assiste alla progressiva perdita
di potere dell'OLP a favore di soggetti come Hamas e il JIP o Hezbollah
in Libano. La fine della narrazione terzomondista ha lasciato spazio
all'islamismo militante ispirato dalla controrivoluzione komeynista in Iran.
Questo processo è dovuto a più fattori: l'OLP ha puntato tutto sul
processo di pace, ma questo, oltre a essere contestato per la sua
impostazione generale si è interrotto; l'OLP assume sempre più il ruolo
di polizia interna nelle aree sottoposte all'autorità dell'ANP (Autorità
Nazionale Palestinese); l'OLP è, in definitiva, un partito corrotto e
clientelare, più interessato a incassare i soldi degli aiuti
internazionali e a piazzare cugini e nipoti dei dirigenti nei posti
pubblici e nelle "baracche del potere" che a portare avanti le istanze
politiche per cui è nato.
Nel corso degli anni novanta e duemila si assisterà al disimpegno
Israeliano in Libano prima e nella Striscia di Gaza poi. Nel caso del
ritiro, per decisione unilaterale, dalla striscia di Gaza attuato dal
governo Sharon a metà anni duemila verranno demoliti diversi
insediamenti dei coloni, causando una prima frattura tra un governo del
Likud, per altro guidato da un falco, e il movimento dei coloni stesso.
Contemporaneamente il campo islamista palestinese colpirà ripetutamente
i civili israeliani, con uno stillicidio di attacchi suicidi contro i
mezzi di trasporto di massa e i locali pubblici.
La strategia di Sharon di disimpegnarsi da Gaza, lasciandola al governo
dell'ANP, per impegnarsi a rafforzare gli insediamenti in Cisgiordania e
contenere Hezbollah fallirà: l'OLP perderà le elezioni contro Hamas,
aprendo una fase di guerra civile nel campo palestinese, e Sharon finirà
fuori dai giochi, a causa di un colpo apoplettico che gli farà passare
il resto della sua "vita" in stato vegetativo.
Le successive coalizioni governative israeliane, spostate sempre più a
destra, avranno come obbiettivo principale il contenimento dell'Iran e
di Hezbollah - il Partito di Dio libanese che non può essere considerato
come un semplice proxy iraniano - e assicurarsi che in campo palestinese
non emerga nessun soggetto in grado di opporsi a quello che si è oramai
consolidato come un sistema di apartheid.
È impossibile affrontare in questa sede la complessa situazione del
Mediterraneo Orientale degli ultimi 20 anni, dall'intervento
statunitense in Iraq alle Primavere Arabe, dalla Primavere Arabe alla
controrivoluzione islamista, dall'interventismo Turco in Levante alla
mezzaluna sciita, in queste pagine: non lo faremo.
La strategia israeliana nel ventunesimo secolo
Per quanto riguarda la strategia israeliana delineatasi negli anni dieci
del ventunesimo secolo basti dire che gli eventi del sette ottobre ne
hanno segnato il fallimento, causando - per altro - una profonda
frattura con gli USA.
Vale, però, la pena di provare a inquadrare l'evoluzione del quadro
politico israeliano e palestinese in quelle che sono state le linee di
tendenza degli ultimi quarant'anni a livello globale.
Innanzi tutto l'emergere di movimenti politici di ispirazione religiosa,
Hamas e JIP in Palestina, il Kach e i suoi derivati in Israele, non è
una peculiarità di quell'area geografica.
Il sionismo toranico-nazionalista, o Hardal, da non confondersi con
altre correnti sioniste religiose storiche, nasce e si rafforza negli
stessi anni in cui negli Stati Uniti si assiste all'imporsi nel campo
politico repubblicano di movimenti evangelici di destra, quell'insieme
di chiese carismatiche evangeliche che forniranno i voti per le
presidenze Reagan e Bush, e in misura minore per quella Trump, e che
sposterà estremamente a destra la politica statunitense. Il
filo-sionismo della destra evangelica statunitense ha una base religiosa
e si intreccia con gli interessi economici del comparto bellico USA. Per
approfondimenti sul tema si rimanda al testo di Gorenberg citato in nota.
Questi movimenti, che in entrambi i casi hanno una composizione
interclassista, emergono con forza negli stessi anni in cui il
Neoliberismo si impone e vi è un significativo arretramento delle
conquiste sociali dei decenni precedenti. In Israele questo significa lo
smantellamento del forte stato sociale, la crisi di Kibbutz e Moshav, la
perdita di voti per i partiti della sinistra, che hanno abbracciato il
neoliberismo e in più non hanno portato a casa un processo di pace degno
di questo nome. L'emergere di una dimensione religiosa da risposte in
termini di salvezza davanti a un mondo che nel giro di pochi anni si è
completamente ristrutturato.
Dal lato arabo-palestinese l'incapacità dei partiti socialisti e
nazionalisti di portare effettivamente a casa un risultato decente,
l'assunzione di politiche neoliberiste per accedere ai fondi del Fondo
Monetario Internazionale, causeranno le stesse dinamiche. L'emergere di
soggetti come Hamas e la JIP sono figlie del fallimento dell'OLP.
L'assunzione di una prospettiva di stampo millenarista, comune sia ai
partiti Hardal, che ai partiti Islamisti, l'atmosfera da costante fine
dei tempi in cui al razionale delle decisioni prese dalle borghesie
nazionali si intrecciano visioni religiose di stampo apocalittico, come
ben dimostra l'importanza assunta dal Monte del Tempio / Al-Aqsa, sono
la cifra di questi anni.
Allo stesso tempo in campo israeliano il governo Netanyahu per
sopravvivere agli scandali, e alle conseguenti inchieste giudiziarie,
causate dalle ingenti mazzette incassate dal primo ministro e dal suo
diretto entourage politico e familiare, hanno portato il Likud a contare
sempre di più sui partiti di ispirazione Hardal. Alla necessità di
Netanyahu di sopravvivere politicamente e giudiziariamente si è unita la
volontà dei partiti fascisti Hardalim di realizzare la sempreverde, per
il fascismo, unione mistica tra popolo e governo. In quest'ottica si può
inquadrare il tentativo di riforma giudiziaria, ovvero il tentativo di
annullare l'indipendenza del potere giudiziario, tra i caposaldi dello
stato liberale.
È una dinamica simile a quella della critica dalla destra bannoniana
alla burocrazia federale negli USA che ha caratterizzato il primo
periodo della presidenza Trump.
È, sopratutto, una dinamica speculare a quella della creazione di
stati-partito a ispirazione religiosa che ha segnato gli ultimi trenta
anni nel mondo islamico nel Levante.
Una qualsiasi possibilità di emancipazione passerà dalla necessità di
farla finita con queste forze politico-religiose e con il sistema
economico che le ha evocate e alimentate.
Non sarà l'appiattimento acritico verso il nazionalismo religioso,
qualunque nazionalismo religioso o laico, anche quando questo si
candiderà come bandiera degli oppressi, a fornire una via di uscita.
https://www.anarresinfo.org/27-09-tramandare-il-fuoco-presentazione-e-dibattito/
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