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(it) France, UCL AL #351 - Scheda speciale: Storia: Le origini antifasciste del calcio femminile italiano (ca, de, en, fr, pt, tr)[traduzione automatica]

Date Fri, 30 Aug 2024 09:41:03 +0300


Nel 2019, in pieno campionato mondiale di calcio femminile, Federica Seneghini, giornalista del Corriere della Serra, si mette sulle orme delle prime calciatrici italiane. Incontra Marco Giani, uno specialista nella storia intersecata dello sport femminile e del fascismo. Questo scambio va ben oltre il quadro di una classica intervista: Seneghini sa che gli servirà ben più di un pezzo di carta per rendere omaggio ai calciatori milanesi che, formati in squadra nel 1931, resistettero ad un mondo sportivo e mediatico sessista, agli spettatori venuti a scoraggiarli (o addirittura a insultarli), e allo stesso Mussolini. Le donne pratichino lo sport nell'Italia fascista, ma scelgano almeno una disciplina olimpica per rappresentare la Nazione e la Dulce ai Giochi di Berlino! I milanesi, in un primo momento, non si sono arresi, giocando con gonne e scarpe da strada - per mancanza di equipaggiamento -, giocando contro l'opinione pubblica e i pregiudizi.

Questo articolo, pubblicato originariamente dal media spagnolo ctxt e tradotto e pubblicato in francese sulla rivista online Ballast, ripercorre la storia della squadra milanese e del giornalista.

Quando Federica Seneghini apre la prima cartella, tra i documenti attira la sua attenzione una fotografia in bianco e nero. Lo prende e sorride quando vede come ridono i giovani calciatori. La foto, molto nitida, evoca un altro calcio: quello che si giocava con cinque attaccanti, tre centrocampisti e solo due difensori per proteggere il portiere dai tiri. Non c'è voluto molto per trovare i loro nomi: Mina Lang, Ester Dal Pan, Ninì Zanetti, Marta Boccalini, Nidia Glingani, Maria Lucchese, Augusta Salina, Luisa Boccanili e Navazzotti.

Passano i mesi e Federica scopre che queste stesse donne sono state protagoniste di uno degli episodi più rappresentativi della fatica del calcio femminile.

Hanno condotto questa lotta in gonnella, senza temere i colpi ricevuti per aver aperto una breccia in un mondo terribilmente maschilista - quello, fascista, di Mussolini. Basta dare un'occhiata alle pubblicazioni dell'epoca: "Se c'è uno sport che le donne non dovrebbero praticare, è il calcio", diceva Lo Sport Fascista nel dicembre 1931. Queste giovani donne non avevano conosciuto il mondo prima del Duce. Sono abituati alle molestie da parte delle camicie nere.

Alla severità di un regime religioso, ai coprifuoco imposti in casa. Servire gli uomini. Nella stufa e nell'ago. Al matrimonio, all'educazione dei figli e al benessere del marito come unico futuro.

* Federica Seneghini, Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce, Edizione Solferino, 2020, 16,50 euro
La lotta
Solo Ninì Zanetti ha avuto la possibilità di giocare a calcio. Fu durante una vacanza a Castiglionecello. Passava lì tutti i pomeriggi con un gruppo di giovani romane, allenandosi. Questo sport le piaceva così tanto che osò scrivere a La Domenica Sportiva.

Contro ogni aspettativa viene pubblicata la sua lettera: "Perché non poteva esserci una squadra di calcio femminile in Italia? Non sarebbe interessante vedere che anche in questo tipo di sport la donna italiana può competere con le straniere, e forse anche superarle?»

Una domenica del 1932, la stessa Zanetti andò al parco per incontrare i suoi amici dopo aver rubato una palla al fratello. Lì tira fuori la palla e dice questa frase che le cambierà la vita per sempre: "E allora? Proviamo?»

Nello stesso anno il Duce annunciò che i prossimi Mondiali si sarebbero disputati in Italia. Il Calcio divenne da quel momento in poi uno dei principali strumenti di propaganda di Mussolini, "il primo degli sportivi italiani", per controllare le masse. Si costruiscono stadi a Udine, Firenze, Bologna, Trieste. Fiore all'occhiello: il sontuoso Stadio Mussolini di Torino, sede della Juventus.

Nelle alte sfere del potere anche Mussolini vuole essere orgoglioso dei suoi ragazzi. Affida l'Azzurra (dal nome della nazionale italiana maschile) nelle mani di Vittorio Pozzo, tenente degli alpini esperto nell'arte della disciplina. Pozzo gira il Paese alla ricerca di giocatori di talento, e li trova: Meazza, Combi, Ferrari, Guaita e Orsi formano una squadra che seduce l'intero Paese, compresi i calciatori milanesi.

La fiamma
I milanesi decidono di inviare una nuova lettera che appare diverse settimane dopo sul Guerin Sportivo. "Un gruppo di appassionati ha preso l'iniziativa di creare una squadra di calcio" è scritto.

«Tutto sarà conforme al sesso[femminile][...]. L'idea dei fondatori è quella di praticare il calcio come esercizio fisico, senza più alcuna ambizione". Come se non potesse trattenersi, il quotidiano Il Littoriale ha aggiunto un commento: "Quando San Benedetto da Norcia disse ai suoi monaci Mens sana in corpore sano, non poteva immaginare che sarebbe arrivato il momento in cui simpatiche ragazzine avrebbero usato il suo motto per giocare a calcio.»

Alla loro chiamata risposero casalinghe, modiste, insegnanti, sarte e impiegate. I calciatori ricevono il sostegno dell'attrice Leda Gloria, tifosa della Roma, oltre a decine di telegrammi di giocatori professionisti. Era stata accesa una fiamma. "Ci siamo sentiti invincibili quando abbiamo visto le nostre parole e i nostri nomi scritti nero su bianco. Invincibili e uniti. Il calcio è un gioco meraviglioso e noi potremmo realizzarlo giocandolo.»

Prima di ciò, ogni giocatore deve ottenere il permesso da suo padre per giocare. Inoltre, le giovani atlete dovranno passare per le mani del ginecologo Ruani affinché possa certificare che il calcio non pregiudicherà la loro salute e la loro femminilità.

La scintilla di speranza che aveva illuminato il loro cammino infiammò rapidamente i giornali. La Gazzetta definisce il loro gioco "né calcistico né femminile". Il Regime Fascista scrive: "Speriamo che cali il sipario dopo il primo atto e che non si parli più di calciatori in gonnella.» Lo Schermo Sportivo, dal canto suo, descrive la loro pratica come "antisport", una "farsa americana".

Le ragazze hanno trovato uno sponsor: Cinzano. Avranno il loro costume da bagno. Giocando si sentono liberi, liberati. Anche se devi fare sport con la gonna. "Ed è forse per questo che, poco dopo, i fascisti vollero farci capire che, in questo meraviglioso gioco che è la vita, erano loro, sempre, a dettare le regole.»

Il primo di questi: una donna non può essere tutrice perché una sparatoria potrebbe mettere in pericolo la sua fertilità. Decidono quindi di giocare con un ragazzo in porta. Ma, ancora una volta, ricevono critiche. "Da soli, con le nostre mani, abbiamo affrontato il fascismo. Stavamo cominciando, con nostro grande rammarico, a rendercene conto.»

Altre regole riguardano il loro modo di giocare: palla più leggera, obbligo di fare solo passaggi a terra. E la cosa peggiore: la necessità dell'autorizzazione della Federazione per poter continuare a praticare. Il grande leader dello sport italiano ha quindi in mano le sorti della squadra. Rilegge la lettera iniziale.

E, sorprendentemente, li lascia giocare. A una condizione, però: che "l'esperimento" che è il calcio femminile si svolga in stadi chiusi, senza pubblico.

L'avvicinarsi dei Giochi Olimpici del 1936 migliorò la situazione delle donne nello sport: anche loro potevano portare medaglie e gloria al loro Paese. Ma il calcio femminile non è una disciplina olimpica, il che provoca nuovi attacchi da parte della stampa.

Tuttavia, una luce brilla nel buio: stanno emergendo altre squadre femminili. I milanesi hanno inviato una nuova nota alla stampa per proporre una partita contro i giocatori dell'Alessandria. Tre giorni dopo, hanno ricevuto una chiamata. Le ragazze dell'Alessandria hanno già giocato contro le giovani della Serenissima, vincendo per cinque gol a zero.

Ma vogliono giocare contro un'altra squadra femminile. Vogliono giocare contro i milanesi. Questa partita ufficiale, esclusivamente femminile, passerà alla storia italiana come la prima disputata tra due città.

La storia di un pregiudizio e di una lotta
Siamo d'accordo sulla data del 1 ottobre. Ugo Cardone acquista per tutti i giocatori i biglietti del treno per Alessandria. Per settimane si allenano ancora più duramente. Un giorno ricevono la visita di tre funzionari maschi del regime durante una sessione di addestramento. Vogliono valutare le virtù fisiche dei giocatori.

Poi si recano da Ugo Cardosi per convincerlo a reindirizzare lo spirito sportivo delle ragazze verso uno sport olimpico. A nulla servono le proteste di Cardosi, così come la rivolta dei giocatori contro le regole imposte: "Abbiamo finito per provare a colpire la palla con la testa e fermarla con il petto, abbiamo spinto da parte i portieri maschi[...]. Ora che la fine era vicina, volevamo liberarci della spina che ci impediva di fare le cose come volevamo.»

Non sono mai stati in grado di giocare questa partita. Il regime li ha costretti a dedicarsi ad altri sport. Per decenni la storia di questa discriminazione e di questa lotta rimase sepolta, finché lo storico Marco Giani la riportò alla luce affinché tutti, ovunque, potessero "riflettere su come Rosetta, Losanna, Ninì e Marta furono, a Milano nel 1933, le prime coraggiose e sfortunate combattenti in una lunga lotta contro un pensiero comune e incrollabile nella mente di tante italiane (e, purtroppo, interiorizzato dalle donne italiane). L'idea che il calcio non sia uno sport per ragazze.»

Miguel Angel Ortiz Olivera

https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Histoire-Aux-origines-antifascistes-du-foot-feminin-italien
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